30/04/18

Eleonora libera, liber* tutt*!





ELEONORA, THEO, BASTIEN LIBERI SUBITO!

Il 22 aprile centinaia di persone hanno marciato insieme da Clavière a Briançon, attraversando la frontiera italo-francese in risposta alla crescente militarizzazione e all'infame presenza di Generazione Identitaria, organizzazione fascista che oggi collabora con la polizia per pattugliare i sentieri. In quella giornata nessuno è stato obbligato a nascondersi e a rischiare la propria incolumità per passare la frontiera. 
Al termine della manifestazione sei persone sono state fermate da gendarmi e polizia. Tre di loro, Eleonora, Théo e Bastien, sono detenuti nel carcere di Marsiglia con l'accusa di favoreggiamento all'immigrazione clandestina in banda organizzata, in attesa dell'inizio del processo, il 31 maggio a Gap.
Giovedì 3 maggio ci sarà l'udienza in cui il giudice si esprimerà sull'istanza di scarcerazione presentata dagli avvocati.
In vista di quel giorno e dell'inizio del processo, chiamiamo a mobilitarsi in solidarietà agli arrestati e contro le frontiere. Invitiamo tutti e tutte ad agire nei propri quartieri e territori, ognuna e ognuno con i propri mezzi e pratiche. 
Quest'appello ribadisce con forza che se ci accusano di solidarietà, dobbiamo rispondere che siamo tutte e tutti colpevoli!

Ele, Théo, Bastien 
Liberi subito!
Tutti e tutte libere!

Verso il 4 maggio - Dall'intervento dell'avvocata di Nadia Lioce all'assemblea della mensa occupata del 19 aprile


L'intervento approfondito dell'Avv. Caterina Calia - 41bis per imporre dentro e fuori la loro "pace sociale".
 

Penso che la battaglia contro il 41 bis è una battaglia importantissima, proprio perché il 41 bis in qualche modo rappresenta la cella Zero del carcere in generale, che ogni tanto viene per far assaggiare il trattamento nelle sezioni ordinarie.
In 41 bis questa cella Zero in qualche modo è permanente, anche se di natura diversa, perché la cella Zero significa che ti massacrano in occasioni particolari, il 41 bis è una forma di tortura molto più sottile, in cui magari non ti metteranno mai le mani addosso, però è una tortura bianca, che tende alla spersonalizzazione totale delle persone.
Da questo punto di vista è importante la battaglia di Nadia, perché è una battaglia contro il 41 bis, quindi partecipare, credo, all'iniziativa a L'Aquila non significa tanto portare solidarietà ad una prigioniera, ma utilizzare anche quella possibilità per svelare che cos'è realmente il 41 bis.
Il 41 bis è tortura, è naturalmente una tortura che viene applicata in questo paese a oltre 700 persone ormai, che è operativo dal ‘92, quindi stiamo parlando di 20 - 25 - 26 anni.
Ci sono detenuti che sono in 41 bis da 26 anni. Abbiamo visto, abbiamo sentito tutti il caso di Riina, di Provenzano, persone che erano ormai ridotte a vegetali e comunque che non hanno mai avuto la revoca del 41 bis.

Intanto la prigionia politica serve a svelare il fatto che il 41 bis non è una misura contro la mafia, la cosiddetta mafia stragista, che è una mafia perdente. Quelli che sono in 41 bis attualmente sono persone a cui hanno tolto tutto. Gli hanno sequestrato anche i beni, non hanno neanche più la casa molti di questi detenuti, perché ci sono anche le misure di prevenzione e non solo quelle personali, come appunto il 41 bis, ma anche quelle patrimoniali. Quindi sono stati spogliati di tutto nel vero senso della parola.
Io credo che il 41 bis, applicato ai politici può svelare qual è il senso profondo del 41 e perché bisogna lottare contro il 41.
Noi abbiamo una particolarità nella prigionia politica, abbiamo il fatto che l'organizzazione di appartenenza non esiste più. Il 41 bis può essere applicato, secondo la norma, soltanto quando c'è unorganizzazione operativa all'esterno. Questo significa che se non c'è l'organizzazione non può essere applicato.
Io mi occupo di 41bis dal 93. Eravamo riusciti ad organizzare anche un pool di avvocati che si occupavano del 41 bis a Parma, dove c'era una tortura veramente generalizzata, con vessazioni continue, come possono essere quelle che vengono illustrate da Nadia alla sezione 41 bis del femminile, e poi alla fine l'unica cosa che abbiamo ottenuto è che sono stati tutti trasferiti in altre carceri, perché ovviamente attraverso gli avvocati in qualche modo si erano messe in moto delle lotte che erano generali, da parte di tutta la sezione di 41, dove c'erano 60 detenuti.

Spagna - Continuano le grandi manifestazioni delle donne contro la oscena sentenza sullo stupro di gruppo - Un grande esempio per tutti i paesi


Continua ininterrotta l'ondata di proteste in Spagna, sono decine di migliaia le donne che da tre giorni scendono in piazza, da Madrid, a Barcellona, a Pamplona, ecc.: anche la vittima 18enne della Manada, il branco che l'ha stuprata nel 2016 a Pamplona, presenterà ricorso contro la sentenza dei giudici, che hanno condannato i cinque uomini per 'abusi' e non per 'aggressione'. Il branco è stato condannato a 9 anni anziché a 20 come richiesto dall'accusa, perché la vittima non oppose resistenza alla violenza, fatto questo che è bastato ai giudici per considerare lo stupro un semplice abuso.

 
Gli stupratori si sono autodefiniti la Manada (il branco), questo anche il nome della chat. Tranne il più giovane, si conoscevano da tempo, erano un gruppo consolidato. I cinque dopo aver casualmente incontrato la ragazza, attorno alle tre di notte l’hanno fatta entrare in un portone dove l’hanno penetrata a turno e costretta a praticare loro delle fellatio, registrandola col telefonino. Dopo l’hanno lasciata seminuda e le hanno rubato il marsupio e il telefonino.
Nonostante il processo abbia ricostruito i fatti confermandoli e ha evidenziato l’intenzione dei cinque di andare in cerca di sesso, ha negato il presupposto della violenza e derubricando l’accusa a abuso.

Più di un milione e mezzo di persone hanno firmato una petizione in cui si chiede alla Corte Suprema di revocare i giudici.
Questo ha costretto il governo a promettere cambiamenti al codice penale. Il testo, voluto dal governo Zapatero e varato dal Parlamento nel 2004, prevede tutele per le donne che denunciano le violenze ma non comprende i reati sessuali.
Ma queste promesse non bastano. E le manifestazioni continuano!
Sono anche uomini delle massime istituzioni spagnole ad essere state parte di quel branco, un agente della Guardia civil e un militare di carriera. E sicuramente anche questo ha pesato nella schifosa sentenza.
Anche le suore carmelitane di Hondarribia, nella diocesi di San Sebastian, hanno voluto far conoscere la loro totale contrarietà: "... difenderemo con tutti i mezzi a nostra disposizione il diritto di tutte le donne a fare liberamente il contrario senza che vengano giudicate, violentate, intimidite, uccise o umiliate per questo".
Con questa sentenza i giudici hanno di fatto dato un segnale di via libera agli stupri, in una situazione in cui aumentano sempre più il numero delle donne che subisce in Spagna, come in tutti i paesi europei, come in Italia,violenze sessuali di ogni genere e femminicidi - Secondo i dati del ministero dell’Interno spagnolo, 7.240 donne sono state vittime in Spagna di delitti sessuali nel 2016, 416 in più rispetto all’anno precedente. Ma le aggressioni sessuali denunciate vengono stimate dagli esperti come riferibili a solo il 10% dei casi totali. Nel frattempo le risorse vengono diminuite.
Questa sentenza che classifica lo stupro non gravissimo reato in sè ma secondo la reazione della donna, la abbiamo vista anche a Torino qualche tempo fa: per il giudice non vi era stata violenza sessuale perchè la donna non aveva gridato.
Con questa giustizia borghese, sessista sono le donne che nei Tribunali diventano imputate, mentre agli stupratori viene dato al massimo un "buffetto".
Le legislazioni nella maggiorparte dei paesi europei richiedono che sia la donna a dimostrare di non acconsentire all’atto sessuale con la resistenza fisica o la dimostrazione dell’impossibilità di resistere per dimostrare la violenza.

Per questo la protesta contro questa decisione del Tribunale di Navarra interessa tutte le donne, anche in Italia.

MASSIMO SOSTEGNO ALLA GIUSTA ED ESEMPLARE LOTTA DELLE DONNE SPAGNOLE!

MFPR

29/04/18

MFPR DE L'AQUILA ALL'ASSEMBLEA ALLA MENSA OCCUPATA - VERSO IL PRESIDIO A L'AQUILA E IN ALTRE CITTA' DEL 4 MAGGIO IN SOLIDARIETA' CON NADIA LIOCE

L'Intervento de l'Mfpr de L’Aquila ha portato dentro l'assemblea la "voce" di Nadia Lioce, e l'importanza del legame di lotta fuori e dentro il carcere.

Un rapidissimo aggiornamento sulle condizioni attuali, per quanto possa esserne a conoscenza, di Nadia Lioce, poi vi leggerò uno stralcio del documento che Nadia ha prodotto in udienza il 24 novembre scorso. Il comunicato dell’mfpr “Dai presidi alle assemblee" ha cercato innanzitutto di raggiungere Nadia Lioce. Noi abbiamo inviato il comunicato in carcere a dicembre, ma sono mesi che la posta le viene bloccata e quindi lei non lo ha ricevuto ed è stata messa sommariamente al corrente di questo passaggio della campagna e di questa assemblea, durante un recente colloquio con familiari. Nadia ha accolto comunque con favore questa cosa, lei lotta da dentro come può, ed è giusto che i compagni si organizzino e lottino da fuori, socializzando anche il contributo che lei ha prodotto. 
Per questo voglio passare a leggere uno stralcio di questo documento, in particolare per quanto riguarda la specificità della sezione femminile del 41bis del carcere dell’Aquila:
"La specificità della sezione 41bis femminile dell’Aquila è quella di essere stata istituita da zero. Cioè scegliendo: ubicazione geografica e strutturale, personale assegnato e sua formazione, e il trattamento a cui sottoporre le “politiche” per cui è nata. E ciò potendo contare sul fatto che le prigioniere sottoposte alla misura non avessero un’esperienza pregressa, nemmeno storica, del 41bis (misura che viene previsto possa essere applicata anche ai politici nel 2002). Inoltre, la mancanza di una loro coesione per ragioni di forza maggiore, ha reso più praticabile un trattamento di “massimo rigore”.
Col passare degli anni, e radicato l’insediamento e le sue caratteristiche di fondo, la particolarità è stata essenzialmente quella di essere poche.
Ma è necessario fare un passo indietro.
Fino al 2005, la sezione 41bis femminile era quella di Rebibbia, a Roma, dove le restrizioni applicate erano quelle di legge e generali, e il personale penitenziario era ordinario. Quella sezione nel 2009 chiuse.
In quella aquilana, aperta nell’ottobre 2005, per applicare il “massimo rigore” fu adottato l’espediente di elaborare ed affiggere nella saletta della sezione un regolamento apposito per la sezione, che voleva dare l’impressione che, data la peculiarità di genere della sezione, essendo femminile in un carcere esclusivamente maschile, ne servisse uno apposta, altrimenti esisteva un regolamento di istituto che era vigente a tutti gli effetti.
In realtà, quando nel 2006 fu chiesto di poter acquisire il regolamento d’istituto – tutti gli istituti devono averne uno – non fu opposto un diniego, non sarebbe stato giustificabile, ma fu affissa una copia del regolamento mancante di alcune pagine iniziali e anche al suo interno. Se ne dovette perciò reclamare l’affissione nella sua interezza al Magistrato di sorveglianza. E infatti così fu fatto quando il magistrato lo ordinò. Allora si poté scoprire che, quelle mancanti, erano pagine concernenti modalità di perquisizione personale, quantità e generi alimentari, di vestiario e altro, detenibili in cella. Ambiti in cui la prassi nella sezione femminile non osservava il regolamento a scapito delle detenute, fino a quel momento ancora poco esperte.
La sottoscritta farà alcuni esempio pratici: le “perquisizioni personali con denudamento” venivano fatte con denudamento integrale nonostante il regolamento d’istituto prescrivesse che il detenuto restasse con gli indumenti intimi.
Un altro esempio: il regolamento d’istituto prevedeva che in cella si potessero detenere 10 pacchetti di sigarette. Quello di sezione non contemplava l’argomento, sicché la quantità detenibile veniva comunicata oralmente. Diventarono 8, poi 6, poi 4. E il momento della decisione di ridurre da 8 a 6 ecc. era quello in cui nel corso della perquisizione della cella, a quel tempo settimanale, se ne trovavano 7, poi 5 e così via.
Alla detenuta veniva contestata la detenzione di un “eccesso”, alla previsa e scontata rimostranza, la prima volta c’era l’avvertimento, la seconda il rapporto disciplinare. E così per ogni variazione in senso restrittivo che potesse/volesse essere inventata.
A quel tempo, fino a tutto il 2009, era un metodo, poi è diventato periodico, mentre, più in generale, anche sui generi detenibili in cella il dipartimento ha sussunto molte delle potestà prima in capo, almeno formalmente, ai direttori.
Come detto, la particolarità della sezione femminile 41 bis è ora in buona parte dovuta alla scarsità di detenute, un dato di fatto che di per sé si traduce in una pressione più elevata, e che consente di gestire la frequentazione alternata dei comuni passeggi e della saletta, anche formando “gruppi” di due persone. E poiché come prima opzione l’amministrazione privilegia la composizione di gruppi di numero minimo di persone, i “gruppi”, salvo cause di forza maggiore, sono sempre di due donne.
Come si può intuire, i mini gruppi di 2 persone sono la composizione a massimo condizionamento reciproco. Ad esempio offrono la possibilità con una sanzione di erogarne informalmente 2.
È quello che sarebbe successo alla sventurata detenuta che fosse capitata nel gruppo con la sottoscritta, anche dall’aprile 2015 all’ottobre 2017, quando avrebbe dovuto restare sola al passo delle sanzioni scontate dalla sottoscritta per la protesta effettuata dei fatti di un segmento della quale qui si discute.
E invece non è successo perché la sottoscritta, anche per senso di responsabilità verso le altre detenute, all’atto del trasferimento in una sezione più grande in grado di custodire ulteriori detenute sopravvenute, ha scelto di non condividere gruppi con nessuna, ovvero dal gennaio 2013 a tutt’oggi.
In parole povere, composizioni di gruppi minimali sono una condizione che genera isolamenti in se stessa perché l’unico altro componente resta solo in casi di: sanzione, malattia, colloquio, udienza, o semplice, legittima, mancanza di volontà di uscire dalla cella, o di svolgere le medesime attività durante l’ora d’aria o di saletta, dell’altro. Tutte condizioni concretamente verificatesi centinaia di volte dal 2005, da quando cioè L’Aquila aprì la sezione femminile per “le politiche”.
Dopodiché l’essere umano è per sua natura sociale, cioè lo è sia interiormente che nelle sue interazioni, non lo è solo circostanzialmente, perciò le circostanze sono ciò con cui potenzialità e istanze si misurano e con cui le persone possono maturare, anzi tanto più possono aspirare a migliorarsi, quanto più difficili fossero le circostanze che si presentassero.
La sottoscritta, non potendo sapere quale sia l’idea dei presenti sulle comunicazioni nelle sezioni 41bis, immaginando che non fossero note né le circostanze derivanti dalla propria condizione di “solitudine” e dunque di preclusione assoluta delle comunicazioni con altre detenute, né che – tra le altre cose – all’epoca dei fatti la sottoscritta avesse conosciuto soltanto due delle altre sei detenute presenti nella sezione femminile in quanto già a L’Aquila dal 2010 – 2011, e infine immaginando che possa essere ritenuto – erroneamente – che una situazione del genere, contrastando con un principio di inviolabilità della persona, non possa verificarsi in questo paese, ha preferito dilungarsi a illustrare le condizioni d’esistenza proprie e delle altre detenute, nel regime di prigionia di 41 bis…"

Aggiungo che con l'ordinanza dell’8 Febbraio 2018, il tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato il reclamo di Nadia Lioce contro il decreto di proroga del 41bis. Tra le pretestuose motivazioni, ad essere messa sotto accusa, oltre alla “condotta detentiva” di Nadia, è anche la solidarietà che comunque continua ad esserci dall'esterno. Il documento di Nadia Lioce è stato raccolto in  un piccolo opuscolo, con in appendice un estratto su questa ordinanza. L’opuscolo è a disposizione, insieme ai numerosi messaggi che hanno accompagnato la raccolta firme ed è importante leggere anche questi messaggi, conoscere i motivi che hanno spinto tante persone a firmare l’appello.

Manifesto nazionale per il massacro dei maoisti indiani

Tra il 22 e il 23 aprile sono state massacrate a freddo, da polizia e forze paramilitari del governo fascista indiano di Modi, 37 persone - tra cui 7 donne.
E' un’orrenda strage verso chi lotta contro l'operazione Green Hunt, che per conto delle multinazionali imperialiste vuole cacciare le popolazioni dai loro territori e distruggere interi villaggi.
L'MFPR fa appello a sviluppare in tutti i modi denuncia, iniziative di solidarietà, a far conoscere questa guerra contro un intero popolo che viene nascosta. Una guerra fatta anche di stupri, anche verso le bambine, immani violenze sessuali, femminicidi, torture sessuali nelle carceri, perpetrate da uno Stato che viene considerato, anche dallo Stato italiano, "la più grande democrazia nel mondo".
Materiali possono essere richiesti a: mfpr.naz@gmail.com


MFPR


Qui sotto un esempio di come lo Stato indiano tratta "legalmente" le lotte delle donne dalit. Il video è stato girato il 2 aprile, durante la rivolta degli "intoccabili"

 

1° maggio di solidarietà internazionale contro il massacro di Gadchiroli


28/04/18

SEMPRE AL FIANCO DI LAVINIA, SEMPRE FERMAMENTE E TENACEMENTE ANTIFASCISTA! A CHE PUNTO E' L'ACCANIMENTO GIUDIZIARIO

Questo accanimento giudiziario viene perpetrato ad opera del PM Rinaudo, già tristemente noto negli ambienti di movimento di Torino e Valle di Susa, per la sua inadeguatezza al ruolo che ricopre e la sua evidente esaltazione.
Il GIP, in prima istanza, aveva negato l'applicazione di misure cautelari a carico di Lavinia (divieto di dimora su Torino ed obbligo giornaliero di firma presso l'autorità giudiziaria) richieste da Rinaudo; così come l'inasprimento della posizione di imputata evitando la contestazione di altre fattispecie di reato (diverse dal 341 bis c.p.), come istigazione a delinquere e complicità in violenza verso le FF.OO (reato questo contestato, invece, ad altre/i compagne/i implicate/i in questa inchiesta).
Il PM, invece, che non demorde nella sua linea di esaltazione e assoluta incongruenza anche con lo stesso ordinamento giuridico che dovrebbe invece rappresentare, ha mosso ricorso nel confronti della decisione del GIP.
Durante l'udienza del tribunale del riesame, tenutasi a Torino venerdì 20 aprile, il giudice, ha rigettato il ricorso mosso dal PM (quindi nessuna misura cautelare è stata approvata) e ha accolto, invece, l'istanza di dissequestro degli oggetti personali che avevano sequestrato in data 14.03.2018, compreso il cellulare, scheda sim e computer, e che Rinaudo si era rifiutato di dissequestrare, nonostante urgesse la necessità di far valere il diritto di difesa di Lavinia durante l'audizione (che avverrà il 6.6.2018) del procedimento amministrativo mosso dalla ministra Fedeli, con le contestazioni (disciplinari) a carico di Lavinia da parte della direzione scolastica (su invito della ministra!), e che si aggiungono, in questo procedimento amministrativo, alla ormai tristemente nota "motivazione politica (partecipazione alla manifestazione antifascista del 22.02 e lo "sfogo" rivolto ai poliziotti conniventi e fasciste).

E' un primo piccolo risultato, a fronte di un accanimento repressivo assurdo ma oggi pienamente interno al clima da moderno fascismo e Stato di polizia che si sta attuando.
La grande solidarietà che si è manifestata per Lavinia, sia a livello nazionale che internazionale, è la nostra arma più forte ed essa continuerà.

MFPR

Intervento del MFPR Taranto all'assemblea alla mensa occupata - verso il presidio a L'Aquila e in altre città del 4 maggio, in solidarietà con Nadia Lioce



Pubblichiamo stralci dal terzo intervento, del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario di Taranto: "Le ragioni della campagna per Nadia Lioce"

Prima di tutto volevo sinteticamente dire perché stiamo portando avanti questa campagna di solidarietà a Nadia Lioce, contro le condizioni di detenzione nel regime duro del 41bis, in varie città - non solo a L'Aquila ma anche a Taranto, Palermo, Milano, Roma, Napoli, ecc. Anche perchè alcuni di noi si sono trovati di fronte al fatto che persone, che non sono già impegnate nella lotta contro la repressione, neanche sanno chi sia Nadia Lioce.

Noi stiamo facendo questa campagna per tre ragioni.
1 - La repressione che questo Stato sta portando da tempo avanti ed avanza sempre di più, è una repressione che colpisce praticamente ogni movimento di lotta. In questo mesi, settimane si è accanita contro i movimenti antifascisti, che giustamente, mentre gli altri facevano campagna elettorale, in tante città alle liste e iniziative elettorali di partiti e forze fasciste, hanno risposto non presentando altre liste, ma con la lotta, con le iniziative di antifascismo militante. Ci sono attualmente decine di compagni, da Torino a Bologna, che non solo sono denunciati ma molti stanno ancora nelle carceri o agli arresti domiciliari per il solo fatto che hanno fatto queste manifestazioni. Tra l'altro in una situazione in cui chi giura sulla Costituzione (che dice che è vietata la ricostituzione del partito fascista), invece difende fascisti e nazisti e reprime chi lotta, chi in un certo senso vuole anche applicare questi aspetti della Costituzione nata dalla Resistenza.
In questa situazione, quindi, in cui non solo le lotte antifasciste, ma viene repressa qualsiasi lotta, -anche le lotte sindacali, anche le lotte per il lavoro, ecc., appena fuoriescono minimamente dai canali stabiliti vengono considerate sovversive, e anche se sei un lavoratore licenziato, un disoccupato subisci denunce, fermi ecc. - che c'entra Nadia Lioce?
Secondo noi la repressione di questo Stato trova la sua punta di iceberg nella repressione verso i prigionieri politici rivoluzionari; cioè verso chi, in varie maniere, con cui si può anche essere d'accordo o meno, pone il fatto che non si può pensare di poter riformare un sistema, uno Stato che si presenta nel 90% delle volte solo con la faccia della repressione, che attacca i diritti della maggioranza delle masse, da quelli più elementari al diritto a vivere, al diritto alla giustizia, al diritto quasi all'umanità. Allora il problema è che chiunque metta in discussione questo Stato, chiunque dica - e anche noi lo diciamo - che va rovesciato questo sistema, che non è riformabile, che è uno Stato al servizio dei padroni, al servizio dei potenti, ecc., deve essere messo a tacere, impedito di agire, attraverso una repressione a 360°.
Ma da un lato questo Stato con la repressione si mostra forte, dall'altro, proprio per questo, mostra di avere paura anche del solo fatto che si allude al cambiamento radicale di questa società, alla rivoluzione.
Quindi chi allude a questo deve tacere, e la condizione di detenzione di Nadia Lioce simbolicamente rappresenta questa volontà dello Stato di reprimere chi solleva il velo.

2 - Perché Nadia Lioce è attualmente l'unica donna, prigioniera politica rivoluzionaria che sta da oltre 12 anni in regime di 41 bis.
Prima si parlava della Cella Zero. Come ci dobbiamo immaginare le condizioni disumane dei detenuti comuni, immaginiamoci cosa vuol dire per 12 anni non poter leggere, scrivere quando si vuole, non poter avere contatti neanche all'interno del carcere. Questo è uccidere una persona.

3 - Ma c'è anche una terza motivazione ed è quella, secondo noi oggi più bella. Nonostante che per 12 anni si vuole tenere una donna, una compagna, in una situazione da tomba, questa compagna continua a lottare, con i mezzi possibili che può usare. Porta avanti una denuncia, una protesta concreta, quindi in questo senso è anche un esempio verso gli altri detenuti politici, una indicazione a non piegarsi, a non rinunciare, a continuare a lottare anche dall'interno del carcere.
In questo senso c'è una questione di lotta fuori e dentro, e in questo senso si pone il problema di estendere la lotta, una lotta che noi pensiamo debba unire la protesta all'interno e la lotta che noi dobbiamo e possiamo fare all'esterno. E questo è una lotta che può dare un colpo alla strategia della repression statale.
Noi vogliamo vincere anche su Nadia Lioce!

Ma voglio dire anche un'altra cosa.
Io sono di Taranto, a Taranto c'è l'Ilva. L’Ilva non solo produce acciaio, ma in tutti questi anni e ancora oggi continua a produrre morti. Ha prodotto centinaia di morti di operai, migliaia di malati di tumore, di morti di bambini, di donne, di abitanti del quartiere vicino l'Ilva. Ma padron Riva non si è fatto neanche mezza giornata di galera.
Ieri hanno assolto Olivetti e altri padroni per le morti da amianto. Sono morti decine e decine di operai per l'amianto e spesso anche i loro familiari, le loro mogli perché gli operai portavano a casa l’amianto. Sono morti perché i padroni per il loro profitto non stanno a guardare se in quella cosa che tu tocchi c'è l'amianto. Ma questi ora sono stati assolti.
In questi mesi i mass media borghesi hanno celebrato due anniversari: l'anniversario di Moro, e l'anniversario di Biagi, mentre continua in silenzio e più di prima, la strage sul lavoro. Allora io mi chiedo, chiediamoci tutti: cosa è che distrugge di più, quali morti sono più gravi? La legge Biagi ha istituzionalizzato la precarietà, è come se il governo avesse detto ai padroni: “Andate sul mercato, il lavoratore che vi conviene di più prendetelo, il contratto che vi conviene di più fatelo”. Operai, diventati ufficialmente solo delle braccia. Quella Legge è stata l'anticipo del jobs act, ha istituzionalizzato i contratti a tempo determinato, precari, contratti parasubordinati. La sicurezza è veramente iniziata ad essere di un altro mondo. Quanti operai sono morti per quella legge? O quanti disoccupati si sono suicidati perché non trovavano lavoro? E allora, di grazia, che cos'è che distrugge di più, quali sono i morti che noi dobbiamo piangere?
Allora su questo non ci venissero a fare le prediche e gli anniversari, non ci venissero a fare le morali, i pianti, ecc., perché non sono certo loro che lo possono fare.

Tornando alla vicenda Nadia Lioce, Noi abbiamo avviato, o meglio riavviato, una campagna, perché questa questione di Nadia Lioce non è che l'abbiamo iniziata noi. Negli anni passati c'erano state altre iniziative. Noi però questa campagna l'abbiamo iniziata per portarla non solo nelle aree di compagni e compagne, a chi già lotta contro la repressione e che è quasi scontato che la sostenga.
Noi questa campagna l'abbiamo iniziata e la portiamo avanti tra i lavoratori, gli operai, tra le donne, tra le giovani, tra i democratici, tra gli avvocati, ecc. Gente che tra l'altro in parte neanche sapeva chi è Nadia Lioce o, se sapeva, di certo sapeva che Nadia Lioce non è una detenuta comune, che in qualche modo è "uscita fuori dalle regole del sistema" (che ti mette fuori dalle regole). Stiamo parlando di una prigioniera politica rivoluzionaria. Eppure dall'esperienza concreta vi dico che tanti stanno sostenendo questa battaglia. Abbiamo fatto una raccolta di firme per le condizioni di vita di Nadia Lioce, contro il 41 bis e l'abbiamo fatta, ad esempio a Taranto, davanti al tribunale e lì non c'erano certo compagni che lottano contro la repressione, eppure hanno firmato in tanti. A livello nazionale siamo arrivati a quasi 3 mila firme.
Questo è importante non perché facciamo una battaglia solo per Nadia Lioce, No. Il problema è che se noi portiamo avanti questa battaglia tra le masse, tra i proletari, vinciamo o semi-vinciamo - perché purtroppo per vincere realmente si dovrebbero distruggere le carceri, si dovrebbe distruggere questo sistema. E se vinciamo almeno su alcune questioni, sarà un segnale per altre battaglie come questa, per altri detenuti. Perché Nadia Lioce, come dicevo prima, non si è rassegnata, e dall'interno sta dando un forte contributo a questa battaglia, sta facendo una protesta ed ha fatto un'analisi dettagliata su cos'è il 41 bis, la sua storia, come viene realmente applicato.

Noi vogliamo estendere questa campagna anche il 4 maggio, in occasione della prossima udienza. Vogliamo che non solo a L'Aquila, dove sta Nadia e si terrà l'udienza, si manifesti, ma lo si faccia anche nelle altre città in cui siamo, in cui ognuno possa fare qualcosa, dal presidio alla controinformazione, ai comunicati stampa, alle locandine.
Estendendo la mobilitazione ci sarà anche una risposta più forte a quelle denunce che la polizia il 24 novembre ha fatto contro 31 persone. Se lo Stato ha voluto denunciare chi stava all'Aquila per la manifestazione, noi denunceremo lo Stato per la repressione non solo a L'Aquila, ma anche a Taranto, Napoli, Palermo, ovunque saremo. Perché vogliamo che questa battaglia si estenda e non si spenga, rimanendo una cosa per addetti ai lavori, che chiaramente sono il necessario "innesco", perché senza i compagni, senza le compagne, non ci sarebbero queste manifestazioni. Ma i compagni e le compagne non vogliono rimanere da soli e quindi vogliono portare la battaglia a chi subisce questo sistema, che vuol dire sfruttamento, vuol dire oppressione, vuol dire mancanza di diritti, vuol dire ingiustizia, eccetera. Quei giovani, donne, lavoratori - e lo abbiamo visto - che sono disposti a dire basta.

Spagna - lo stupro di gruppo definito "abuso" - riprende la grande mobilitazione delle donne - Una pietra che gli deve ricadere sui piedi!


Da ieri pomeriggio, in tutta la Spagna, sono in corso proteste per la sentenza emessa dalla Corte di Navarra contro cinque uomini accusati di aver violentato in gruppo, due anni fa, una ragazza di 18 anni durante la festa di San Firmino.
Gli uomini, che all'epoca dei fatti avevano tra 27 e 29 anni, facevano parte di un gruppo chiamato "La Manada" ("il branco di lupi") e sono stati condannati per abusi sessuali a nove anni di prigione e non per violenza sessuale, crimine ben più grave e per il quale l'accusa aveva chiesto 22 anni.
Da qui lo sdegno e le proteste che, da Pamplona, si sono estese a macchia d'olio in tutto il Paese, da Madrid a Barcellona, passando per Valencia, Siviglia, Toledo e molte altre città spagnole: in piazza migliaia di donne (e non solo) di ogni età e ceto sociale che, con striscioni e cartelli, hanno urlato all'unisono "Non è un abuso, è uno stupro" e "Se toccano una di noi, toccano tutte". Molte indossavano guanti rossi, simbolo di protesta contro la violenza sessuale.
In piazza anche diversi esponenti politici, tra cui Pablo Iglesias, leader di Podemos e Pedro Sánchez, segretario del Partito Socialista spagnolo.

Le motivazioni della sentenza

Come riporta il quotidiano spagnolo "El Pais", la Corte è rimasta divisa sulla sentenza fino all’ultimo, nonostante esista un video dei fatti: durante la violenza, infatti, uno degli uomini avrebbe girato un filmato con l’intento di condividerlo con i suoi amici su WhatsApp.
Nonostante nella sentenza si riconosca che “le relazioni si sono svolte in un contesto soggettivo e oggettivo di superiorità degli imputati, la vittima mostra "un rictus" (contrazione dei muscoli facciali) assente, tiene tutto il tempo gli occhi chiusi, non fa nessun gesto rispetto l’atto sessuale". La ragazza ha dovuto spiegare in aula che era terrorizzata da quanto stava accadendo e che la paura l’ha paralizzata.
Intanto, sia gli avvocati della vittima che quelli degli imputati hanno affermato che si appelleranno contro il verdetto.

27/04/18

2° INT. DALL'ASSEMBLEA ALLA MENSA OCCUPATA - VERSO IL PRESIDIO A L'AQUILA E IN ALTRE CITTA' DEL 4 MAGGIO IN SOLIDARIETA' CON NADIA LIOCE

Pubblichiamo oggi stralci dall'intervento di Pietro Ioia (Napoli) ex detenuto a Poggioreale, attivista per i diritti dei detenuti: "bisogna lottare!"

Io sono Pietro Ioia, uno che ha passato 22 anni di carcere in vari istituti italiani, qualcuno pure all’estero. Da 15 anni faccio l'attivista per i diritti dei detenuti, innanzitutto perché non vengono proprio presi in considerazione.
Da alcuni mesi visitavo le carceri. Un gruppo di amici avvocati mi fecero fare la domandina al DAP per farmi entrare nei carceri. Ho visitato 3 volte Poggioreale, due volte Santa Maria, due volte Secondigliano. Volevo visitare Pozzuoli, che è un carcere tremendo, però d'improvviso la mia domanda è stata respinta. Hanno detto: “Pietro non entra più nei carceri” e non ci hanno voluto dare spiegazioni. Non fa niente, io tanti anni di lotta li ho fatti fuori dal carcere e non è un problema. Poggioreale è un carcere che ha una capienza di 1500 - 1580 detenuti e attualmente ci sono 2200 detenuti. Quando l'ho visitato molti detenuti mi conoscevano e molti erano iscritti alla mia associazione. Uscivano fuori dalle celle perché c'erano le celle aperte, però non si poteva stare in mezzo al corridoio: “celle aperte significava che si poteva andare ad esempio nella cella dirimpetto o a fianco, ma non si poteva stare in mezzo al corridoio. Lo feci presenti al direttore: “Ma fatemi capire, voi volete prendere in giro la società dicendo che qui ci stanno le celle aperte! Ma se uno non può uscire dalla cella se non per entrare dentro un'altra cella non è vero che le celle sono aperte!”.
Poggioreale è piena di povera gente. Alla nuova direttrice del carcere chiesi di darmi una mano a chiudere quel carcere di Poggioreale lei mi rispose: signor Pietro Ioia se fosse per me io chiuderei tutti i carceri, l 75% dei detenuti, per i reati che tiene, non dovrebbe stare in carcere.  
Quando sono andato a Poggioreale si faceva la folla dei detenuti attorno a me e io raccoglievo le loro esperienze. Chi era dentro per furto, chi per tentata rapina, c'era anche quello che aveva rubato il pezzo di formaggio dentro al supermercato. Erano tutti dentro per reati comuni. Poi mi è arrivata una lettera da Poggioreale, un detenuto si è sfogato e mi ha detto: Pietro io non ce la faccio più siamo pieni di telefonini e pieni di droga si sta facendo lo spaccio all'interno di Poggioreale. Ecco, questi sono i carceri. Allora io mi chiedo: “Ma a che servono i carceri?” Ci sono gli immigrati che non hanno l'indirizzo di casa, non hanno la casa e non posso uscire, non sanno dove andare Non ci stanno centri di accoglienza, case che se ne prendano cura. Questi sono i carceri, i carceri sono pieni di poveracci.

Asifa, stuprata dal branco e uccisa a 8 anni dai fascio induisti del regime di Narendra Modi



Gli sviluppi del brutale stupro di gruppo e dell'uccisione di Asifa Bano, una bambina di otto anni, nello Stato di Jammu e Kashmir stanno generando sgomento e forti proteste attraverso i social network in India, dove le violenze sulle minorenni e sulle donne in generale sono una dura realtà quotidiana.
Gli sviluppi del brutale stupro di gruppo e dell'uccisione di Asifa Bano, una bambina di otto anni, nello Stato di Jammu e Kashmir stanno generando sgomento e forti proteste attraverso i social network in India, dove le violenze sulle minorenni e sulle donne in generale sono una dura realtà quotidiana.

Il rapimento in gennaio della piccola musulmana a Khatua, e la sua uccisione da parte di un gruppo di indù, ha attratto per settimane l'attenzione delle cronache per le evidenti implicazioni interreligiose. Ma ora il caso è esploso anche sul piano politico dopo le forti polemiche suscitate anche dai tentativi di insabbiare un altro stupro, compiuto lo scorso anno nello Stato di Uttar Pradesh da un leader locale del partito di governo Bjp e da suo fratello ai danni di una giovane di 17 anni, attratta con l'inganno di una proposta di lavoro.
Le proteste di un gruppo di estrema destra indù a difesa del principale colpevole della violenza su Asifa in Kashmir, e i tentativi di impedire l'arresto del membro dell'assemblea parlamentare dell'Uttar Pradesh, Kuldeep Singh, hanno spinto il partito del Congresso, principale forza di opposizione a manifestare pubblicamente a New Delhi. Ma è la protesta sociale che si è estesa a livello nazionale con una copertura permanente delle proteste da parte di giornali, tv e radio e decine di migliaia di adesioni via Twitter per gli ashtag #StopSheldingRapists, #Khatua e #JusticeForAshifa.
 

India - massacrati 37 presunti maoisti - tra cui 7 donne - sviluppiamo denuncia e solidarietà!


Tre giorni fa sono state massacrate a freddo dalla polizia e forze paramilitari del governo fascista indiano di Modi, 37 persone - tra cui 7 donne.
E' una orreda strage verso chi lotta contro l'operazione Green Hunt che vuole per conto delle multinazionali imperialiste cacciare le popolazioni e distruggere interi villaggi.
L'MFPR fa appello a sviluppare in tutti i modi denuncia, iniziative di solidarietà, a far conoscere questa guerra contro un intero popolo che viene nascosta, fatta anche di stupri, pure verso le bambine, immani violenze sessuali, uccisioni, torture sessuali nelle carceri, perpetrate da uno Stato che viene considerato anche dallo Stato italiano "la più grande democrazia nel mondo".
Materiali possono essere richiesti a: mfpr.naz@gmail.com
In allegato, un comunicato dall'India e sotto il comunicato
del Comitato Internazionale di Sostegno alla Guerra Popolare in India
 
MFPR

Il fascio induista Narendra Modi e il guru pluristupratore Bapu Asaram

India: ancora un massacro in un falso scontro

37 presunti maoisti trucidati a Gadchiroli

Tra il 22 e il 23 aprile non meno di 37 presunti maoisti sono stati massacrati, dopo essere stati circondati da forze di polizia e paramilitari.

Il massacro potrebbe anche essere maggiore. Dal fiume Indravati sono affiorati cadaveri diverse ore dopo le uccisioni e le acque potrebbero restituirne altri.

Inoltre il distretto è stato completamente isolato dalle forze di polizia e paramilitari che continuano incursioni e persecuzioni illegali nei villaggi inermi.

Né, come in tante occasioni precedenti, si sa se e quanti di questi fossero effettivamente maoisti e armati e quanti semplice abitanti dei villaggi.

Quello che è certo che non è stato un vero e proprio scontro armato ma un attacco di sorpresa con lanciagranate mentre gli aggrediti facevano colazione o riposavano.

Quello che è certo è che l’ennesimo massacro della guerra al popolo che lo Stato indiano ha scatenato con la Operazione Green Hunt e che oggi, sotto il regime fascista hinduista di Modi, si fa ancora ancor più cruenta e spietata, fino a diventare un genocidio.

La polizia ha diffuso un video che mostra soldati che festeggiano la “vittoria” danzando tra i cadaveri. Che in tutto il mondo si mostri la rabbia e indignazione contro questo barbaro massacro e il regime fascista e genocida che lo ha ordinato.

Onoriamo a modo nostro i martiri di Godchiroli, caduti al servizio del popolo!

Organizziamo ovunque possibili proteste ad ambasciate e consolati e iniziative di denuncia e solidarietà!

Sosteniamo lo Spring Thunder Tour che prossimamente attraverserà l’Europa!

Fermiamo Green Hunt!

Fermiamo la guerra al popolo in India!



Comitato Internazionale di Sostegno alla Guerra Popolare in India


26.4.2018


25 aprile 2018

Dichiarazione del PUDR (Unione popolare per i diritti democratici)

L’uccisione di almeno 37 maoisti da parte di forze combinate CRPF e C-60, corpo scelto della polizia di Gadchiroli, il 22 e il 23 aprile 2018 pone interrogativi assai inquietanti sui metodi con cui lo Stato conduce gli "scontri". La mattina del 22 aprile, 64 agenti di polizia e paramilitari hanno ucciso 16 maoisti nella giungla del Karnasur, nella zona di Bhamragod, nel Maharashtra orientale. La sera seguente, il 23 aprile, i commando della polizia e il personale di sicurezza hanno ucciso altri sei maoisti nella giungla di Rajaram Khandla, nell'area di Jimalgatta nel distretto di Gadchiroli. Successivamente, il 24 aprile, la polizia ha ritrovato 15 corpi di sospetti maoisti affiorati dalle acque del fiume Indravati. A tuttora, il bilancio è di 37 morti. Nessun commento dei maoisti sull'attacco. La polizia ha dichiarato che i maoisti hanno perso tre comandanti di alto grado e sette donne. È stata acclamata come la più grande operazione anti-maoista degli ultimi 40 anni. L'intero distretto di Gadchiroli è stato isolato e forze congiunte di polizia e paramilitari stanno effettuando rastrellamenti e incursioni.
Quando lo Stato fa guerra al suo popolo gente con scontri armati, raramente il modus operandi dello Stato viene messo in discussione, dato che si ritiene che lo stato stia combattendo una guerra giusta contro terroristi e anti-nazionali, i maoisti, che per di più taglieggiano con estorsioni e vessano la popolazione locale. Ma c’è stato davvero un scontro a Tadgaon?
Fonti di stampa dei media lasciano supporre che lo scontro del 22 aprile sia iniziato dopo che un'unità di pattugliamento aveva ricevuto informazioni dettagliate su movimenti in Perimilli Dalam, presso Tadgaon, a circa 150 km dal quartier generale di polizia a Bhamragod. La polizia ha circondato i maoisti mentre facevano colazione o riposavano. Neanche un effettivo delle forze di sicurezza è stato ferito seriamente o ucciso. Non c’è stato scontro; lo stato ha usato la collaudata strategia di attacco unilaterale con lanciagranate sotto-canna, allo scopo di infliggere il maggior numero di vittime. Il sovrintendente di polizia di Gadchiroli, Abhinav Deshmukh, ha detto di non sapere quanti colpi sono stati sparati. Come noto, gli "specialisti degli scontri" sono premiati con promozioni e ricompense. Non sorprende percio che a Tadgaon abbiano festeggiato, le “vittorie” del 22 e 23 aprile e in un video diffuso si mostrano poliziotti e soldati che ballano al ritmo di una nota canzone Haryanvi di Sapna Choudhary.
Si potrebbe sostenere che i anche maoisti sono responsabili di attacchi simili: a Chintalnar (Chhattisgarh) nel 2010, quando 76 militi del CRPF sono stati uccisi o a Burkapal (Chhattisgarh) nel 2017, quando 25 effettivi CRPF sono caduti in un'imboscata. Il punto saliente, che facilmente si dimentica, è che lo Stato ha un arsenale che i maoisti non hanno. E, quando lo Stato decide di uccidere e non di impegnarsi in un dialogo politico con i suoi avversari, allora occorre considerare come lo stato guarda ai suoi nemici e perché. Nel 2010 l'allora Ministro dell'Interno, P. Chidambaram, aveva detto: "Questa è guerra, è una guerra cui lo Stato è stato costretto da coloro che non hanno il diritto legittimo di portare armi o uccidere ". Nel 2016, il suo successore, Rajnath Singh, ha dichiarato: "Non c'è posto per la violenza in una società sviluppata ed è mio desiderio vedere che a questi episodi sia posta fine in questo paese". Non c’è miglior riscontro di queste "volenterose" dichiarazioni dei nostri ministri degli interni, passati e presenti che il modus operandi dell'attuale primo ministro delll’UP, che ha autorizzato non meno di 1000 scontri in meno di un anno.
Se lo Stato si considera il protettore del popolo, deve attenersi strettamente dalla legalità. Il PUDR critica fermamente le uccisioni di massa del 22 e 23 aprile a Gadchiroli e i soprusi che la popolazione locale sta subendo illegalmente per mano di personale di sicurezza in nome di perquisizioni e incursioni.

Shashi Saxena e Shahana Bhattacharya
Segretari, PUDR

Dall'assemblea alla mensa occupata - verso il presidio a L'Aquila e in altre citta' del 4 maggio in solidarieta' per Nadia Lioce



Cominciamo da oggi a riportare - come avevamo annunciato - stralci degli interventi fatti nell'assemblea del 19 aprile presso la Mensa Occupata di Napoli: "Da L'Aquila A Napoli - Dal Carcere Al 41 Bis"

Dall'introduzione della Mensa Occupata (Napoli): "il carcere non vada riformato, non sia riformabile, pensiamo che il carcere vada abbattuto... Rompiamo l'isolamento carcerario..."

Stasera parleremo di un tema importante quello del carcere con un particolare riferimento alla compagna Nadia Lioce in 41 bis ormai dal 2006.
Quando parliamo di detenzione ci teniamo a ricordare sempre che sia quando è portata avanti nei confronti di compagni militanti rivoluzionari sia contro detenuti comuni, intendiamo parlare sempre comunque di detenzione politica.
Dopo il presidio in solidarietà alla campagna Nadia Lioce ben 31 compagni hanno ricevuto delle denunce per manifestazione non autorizzata ed è anche per questo che oggi abbiamo deciso di organizzare questa iniziativa per dare comunque risalto e voce a questo atto gravissimo che è accaduto a L'Aquila. Infatti ci teniamo a sottolineare la volontà da parte dello Stato di criminalizzare le lotte, la solidarietà e di continuare a reprimere ancora una volta chi cerca di resistere, chi cerca di essere quel ponte dall'interno delle carceri all'esterno che vada a rompere l'isolamento carcerario. Anche questi esempi dimostrano come la repressione sia politica in ogni sua forma; riteniamo che non esista distinzione tra detenzione politica e quella comune rispetto a chi ogni giorno resiste in questa società e combatte per portare il piatto a tavola.
Infatti è importante per noi sottolineare anche la composizione carceraria. Basti pensare che la maggior parte dei detenuti oggi in carcere per reati contro il patrimonio, quindi ancora una volta è chiaro come ci si ponga sempre a difesa dei valori delle classi dominanti.
Noi stessi viviamo in un carcere a cielo aperto, basti pensare alle telecamere, alla militarizzazione delle città; anche a Napoli il centro storico sta cambiando in ogni sua forma, troviamo militari in ogni angolo, telecamere ovunque, in una città ormai a misura di turista non a misura di chi nella città ci vive, una città dove per la repressione, anche grazie a quello che è stato il decreto Minniti, non c'è più la possibilità di sopravvivere all'interno di un centro vetrina e dov'è sempre di più le classi sociali emarginate vengono cacciate dal centro storico alla periferia.

25/04/18

Noi stiamo con le donne che resistono, stiamo con Rossella!



Disse “bastardo” al Sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano e oggi è stata condannata a una multa di 1000 euro, più 1000 euro di risarcimento, la no border imperiese Rosella Dominici, finita a processo per diffamazione aggravata per aver scritto su Facebook l’insulto rivolto al primo cittadino all’indomani dello sgombero, avvenuto nel settembre del 2015 alla pineta dei balzi rossi, dove si trovavano i migranti e gli attivisti.

La condanna, emessa dal giudice Daniela Gamba, che ha accolto la richiesta di pena del magistrato onorario Monica Vercesi, arriva pochi giorni dopo un altro sgombero, quello di mercoledì sul greto del Roja. In aula erano presenti alcuni attivisti e, al momento della lettura della sentenza non sono mancati momenti di tensione. Tra il pubblico c’è chi ha urlato “Comunque Ioculano è un bastardo”.


“Io quella frase l’ho scritta il giorno dello sgombero del presidio di Ventimiglia. – ha detto Rosella Dominici - Io al presidio di Ventimiglia dei balzi rossi ero dai primi di giugno del 2015. Ci lavoravo ogni giorno, è stato l’unico esempio di accoglienza solidale che io ho visto anche a Ventimiglia, perché poi la gente va sotto i fiumi… Là c’erano avvocati e medici. Quel giorno, il 30 settembre, la ruspa ha distrutto tutto. Quello sgombero era evocato, invocato dal Sindaco da mesi, però comunque sia, era chiesto da lui. Quel giorno le ruspe hanno distrutto tutto dalle 6 del mattino, chiunque può vedere i filmati. Decine di blindati, centinaia di poliziotti, ragazzi bianchi e neri costretti sugli scogli che sono scappati, e ci sono stati dodici ore senza che nessuno potesse dargli da mangiare e da bere. Si vede il cibo portato dai solidali francesi preso a calci davanti alla scogliera, e quei ragazzi sono stati dodici ore sugli scogli.

Io alla sera ho scritto quella cosa lì, per questo sono condannata. Poi a Ventimiglia ho visto le ordinanze del Sindaco che proibiva quel cibo in nome di decoro, ho visto gente sotto al ponte senza neanche un gabinetto chimico o acqua, bere l’acqua del fiume, dicendo ‘c’è il campo della Croce Rossa’. Allora chiediamoci perché i migranti al campo della Croce Rossa non vogliono andare. Perché forse qualche motivo c’è. Secondo, hanno chiuso anche Gianchette, che proteggeva donne e bambini. E poi donne e bambini, in mano a chi? Sotto al ponte. Questa è la storia. Mi hanno condannata. Pazienza, andremo a vedere, amen, contenti e auguri a loro”.

“Ovviamente credo che faremo appello. – commenta uno dei legali di Rosella, Gianluca Vitale - Aspettiamo la motivazione, ma credo che lo faremo. Io credo che abbiamo dato tutti gli elementi per dimostrare come in realtà quello che ha scritto Rosella lo ha scritto in un momento particolare, perché era appena stata sgomberata un’esperienza indimenticabile per tutti quelli che l’hanno vissuta. La cosa che rende tutto ancora più triste è che questa condanna arrivi due giorni dopo l’ulteriore sgombero dei migranti che è stato fatto a Ventimiglia, e che oggi in aula si siano dette cose che non condividiamo assolutamente, e cioè che in realtà Ventimiglia è un modello di accoglienza. Purtroppo non lo è stato e continua a non esserlo. Quella che poteva essere un’esperienza diversa, dei balzi rossi,  quell’esperienza di comunità, è stata sgomberata e adesso è stata anche condannata con le parole di Rosella, e credo che questo non sia un buon momento, anche per questo Paese se vogliamo, però vedremo le motivazioni e poi faremo appello”.

“Una sentenza ritenuta assolutamente ingiusta – aggiunge l’altro avvocato di Rosella Dominici, Francesco Fazio – anche alla luce delle sentenze della Corte di Cassazione che inquadrano la fattispecie odierna come diritto di critica, e non assolutamente come diffamazione. Non si conoscevano assolutamente né la parte civile, né l’imputata, quindi non si riesce a vedere come la signora Dominici abbia potuto e voluto diffamare, con coscienza e volontà, chicchessia”.

I solidali presenti hanno anche diffuso un volantino:

“Oggi 20 Aprile arriverà a sentenza il procedimento che vede imputata Rosella Dominici, colpevole, secondo l‘accusa, di aver “diffamato” il sindaco di Ventimiglia Ioculano.

La questione è nota: Rosella, la sera di una giornata lunga e triste, quella dello sgombero dei Balzi Rossi, in cui, con violenza, si metteva fine ad un’esperienza di lotta e di condivisione politica politica ed umana ricchissima, individuando nel Sindaco di Ventimiglia uno dei principali responsabili, si sfogava dandogli del “bastardo”.

Assieme a Rosella vengono denunciate altre cinque persone, ma a processo ci va solo Iei perché mentre gli altri pagano una piccola cifra e presentano le proprie scuse scritte, come richiesto dalla parte offesa, Rosella non ci sta e decide di andare a processo.

Sicuramente non è una scelta di opportunità, ma di coerenza.
Sarebbe stato semplice pagare quei pochi euro e chiuderla lì senza altre spese, senza ulteriori “sbattimenti” e pazienza per la “genuflessione” richiesta un po’ fanciullescamente dal Sindaco. Tutto si sarebbe risolto come una questione privata, tra lei ed il Sindaco.

Ma sarebbe stata una semplificazione ed una mistificazione: Rosella ha dato del “bastardo” al sindaco, non perché non le piacesse il taglio dei capelli (?!), o lo Sguardo, ma perché lo riteneva responsabile di scelte politiche scellerate e riprorevoli.

Era lui il responsabile della tristemente famosa “Ordinanza sul cibo” ed era sempre lui che si era rifiutato di pensare al fenomeno migratorio in maniera differente da un “Problema di Ordine pubblico e che quindi aveva spinto per lo sgombero del campo informale dei Balzi Rossi.

…per tutto ciò, la sera del 30 settembre 2015, a caldo Rosella gli dà del bastardo su Facebook. Per tutto ciò la mattina del 1 dicembre 2017, a freddo, Vauro gli dà del nazista in diretta tv, ma Vauro non viene denunciato e Rosella sì, come non vengono denunciati tutti quelli che offendono il Sindaco quasi quotidianamente su Facebook, ma Rosella sì.

E' una scelta politica che viene compiuta e puntualmente perseguita: impedire qualsiasi forma di solidarietà con i Migranti che non sia canalizzata in forme istituzionali o al più umanitarie e si sceglie di isolare il popolo migrante, di impedire ogni forma di antagonismo e ogni forma di autoorganizzazione attraverso la repressione di ogni forma di dissenso: decine di “fogli di via”, di denunce, avvisi orali di pericolosità sociale, militarizzazione del territorio. Il processo a Rosella è parte di questa strategia. I frutti sono sotto gli occhi di tutti: marginalizzazione e degrado, negazione di qualsiasi tutela nei confronti dei soggetti più deboli, donne e minori, respingimenti e deportazioni coatte.

Tutte le violenze subite dai Migranti da parte della polizia o dai “passeur”, la tratta di donne e minori, le sofferenze, gli sgomberi, le morti sull'autostrada o sui valichi, cercando di attraversare la “frontiera”, il razzismo dilagante, sono i frutti del “sistema accoglienza”.

Il peso di queste morti e di queste sofferenze, la responsabilità di tutto ciò grava sì sulle spalle dei vari Salvini, Alfano o Minniti, ma anche su quelle ben più esili del sindaco di Ventimiglia.

Non possiamo quindi che essere SOLIDALI con Rosella e considerare al contempo CRIMINALE la condotta di Ioculano.

Contro la repressione del Dissenso, Contro la Criminalizzazione della Solidarietà, Contro ogni Frontiera…. WE ARE NOT GOING BACK!!

Solidali del Ponente”.