30/09/15

Contro la lotta delle lavoratrici Yoox/Mr Job GOVERNO-CGIL-ICHINO

Yoox/Mr Job, Cgil: "Bloccare tremila lavoratori è controproducente e inutile. Offre pretesti a chi è contro lo sciopero"

da Huffington Post 





Otto licenziamenti a Bologna stanno diventando un caso nazionale analogo alla assemblea dei dipendenti del Colosseo e fanno discutere sulle forme di battaglia sindacale.
Gli operai allontanati dal lavoro dopo tre lettere di richiamo facevano parte della Mr Job, cooperativa che lavora in appalto per il colosso del commercio online Yoox. Due di loro la settimana scorsa sono saliti sul tetto del magazzino, hanno srotolato uno striscione per chiedere di tornare a imbustare i vestiti Yoox e hanno cominciato uno sciopero della fame mentre il sindacato SiCobas ha organizzato il blocco dell'Interporto di Bologna dove sorgono i capannoni Mr Job, suscitando le ire del sindaco Virginio Merola che ha invocato l'intervento di Angelino Alfano, ma anche la rabbia di molti lavoratori della logistica che invece volevano entrare a svolgere la propria giornata di lavoro,esibendo il cartello "No al reintegro" e in alcuni casi venendo alle mani con coloro che scioperano. Operai contro operai. Mentre lunedì pomeriggio è in corso un tavolo della prefettura bolognese per liberare l'accesso all'Interporto, i facchini che vorrebbero interrompere la protesta dei licenziati e dei SiCobas si organizzano in una pagina Facebook dove scrivono "boia chi molla!" e "Quei due sul tetto possono rimanerci a vita, me ne frego!".
Pietro Ichino dalle colonne di Repubblica Bologna se la prende con la "prepotenza" dei sindacati di base e dichiara che "bloccare i cancelli e impedire l’ingresso in azienda delle persone è un reato".
"Vede? Se io ogni volta che ho una vertenza sindacale dovessi impedire agli altri di lavorare, offro il pretesto a qualcuno di dire che uso in maniera abnorme la mia forza", osserva Alberto Ballotti della Filt Cgil di Bologna, il sindacalista che conosce da vicino le problematiche dell'Interporto. "C'è un clima in Italia secondo il quale se blocco per giorni un sito produttivo per una questione di licenziamenti individuali, allora è chiaro che sto porgendo su un piatto d'argento una riforma del diritto di sciopero. Allora mi chiedo: ma i SiCobas vogliono davvero il reintegro di quelle donne o vuole solo finire sui giornali?".
Ma non è soltanto il timore sul futuro dello sciopero: fin dall'inizio la Cgil emiliana ha giudicato "sbagliate" le forme di lotta dei SiCobas per i licenziamenti della Mr Job perché"vanno a calpestare i diritti di altri lavoratori (in questo caso la stragrande maggioranza) che intendono recarsi al proprio posto di lavoro". Nella Camera del Lavoro di Bologna non c'è chi esita a parlare di "intifada" sindacale: trenta tesserati SiCobas che tengono in scacco oltre 500 lavoratori di una cooperativa dove il sindacato maggioritario è proprio la Cgil.
"In questo caso l'alternativa c'è: impugnare il licenziamento davanti al giudice per capire se davvero hanno ragione. Se queste lavoratrici sono state discriminate allora otterranno il reintegro", spiega Ballotti. "Sono dalla parte di chi è licenziato, ma non è possibile bloccare le oltre tremila persone che lavorano all'Interporto che in questi giorni sono in parte rimaste a casa perché non arrivavano le commesse e i camion non riuscivano a passare visto che i SiCobas, portando anche attivisti dall'esterno e dei centri sociali, si sdraiavano sulle rotonde intralciando il traffico".
I licenziamenti, controbattono i SiCobas, sono una punizione contro coloro che all'interno della cooperativa Mr Job cercano di migliorare le condizioni di lavoro definite "massacranti". E le motivazioni delle lettere di richiamo, sottolineano, sono "pretestuose". "Sono arrivati a dire che gli otto licenziati hanno aggredito dei vigilantes, o che si erano permesse di lavorare da sedute perché stanche".
Quattro delle licenziate nel 2014 avevano denunciato un caporeparto Mr Job per molestie sessuali, ingiurie e maltrattamenti. Federico Gatti, spostato a una mansione diversa all'interno della cooperativa, è stato rinviato a giudizio e il processo si apre nella prima settimana di ottobre. "Il molestatore al lavoro e le molestate a casa", ha sintetizzato nei giorni scorsi il sindacato di base.
Tuttavia i SiCobas non vogliono fermarsi alla Mr Job, bensì risalire alle responsabilità di Yoox sulle condizioni di lavoro e hanno annunciato che presto verrà avviata una azione legale. Una delle prove, spiegano, è la presenza di lavoratori della Yoox nella contro-manifestazione per chiedere di entrare nei capannoni e lavorare: sono gli stessi promotori del "Collettivo Mr Job" ad autodefinirsi dipendenti dell'azienda fondata dall'imprenditore Marchetti.

28/09/15

Onore alle donne partigiane combattenti contro il nazifascismo

E’ morta ieri l’ultima partigiana di Via Rasella

E’ scomparsa ieri, nella clinica San Raffaele di Rocca di Papa, a 91 anni, Lucia Ottobrini, valorosa partigiana, una delle quattro ragazze dei Gap (assieme a Carla Capponi, Maria Teresa Regard e Marisa Musu), medaglia d’argento al valor militare, compagna di lotta e moglie di Mario Fiorentini. Partecipò a molte azioni partigiane a Roma. Nata […]
E’ scomparsa ieri, nella clinica San Raffaele di Rocca di Papa, a 91 anni, Lucia Ottobrini, valorosa partigiana, una delle quattro ragazze dei Gap (assieme a Carla Capponi, Maria Teresa Regard e Marisa Musu), medaglia d’argento al valor militare, compagna di lotta e moglie di Mario Fiorentini. Partecipò a molte azioni partigiane a Roma. Nata il Alsazia da famiglia antifascista di lavoratori italiani emigrati, nemmeno ventenne, è incaricata di nascondere in casa le armi per le azioni; successivamente, in virtù della sua conoscenza del tedesco si infiltra tra i nazi-fascisti, con i nomi di battaglia di “Maria Fiori” o “Leda Lamberti”. Ben presto partecipa attivamente alla lotta armata.
Il 31 ottobre 1943, partecipa ad un’azione di copertura, in corso Vittorio Emanuele, in cui vengono uccisi tre militanti della Rsi. E’ protagonista, il 18 dicembre 1943, dell’azione al cinema Barberini in cui vengono uccisi otto militari tedeschi. Fermata dalle SS riesce a farsi rilasciare grazie alla sua conoscenza del tedesco. Il 10 marzo ’44, assieme a Rosario Bentivegna, Mario Fiorentini (col quale si sposerà) e Franco Ferri, lanciano alcune bombe contro un corteo di fascisti che sfilano in via Tomacelli: tre morti e diversi feriti. Non parteciperà direttamente all’azione di via Rasella, il 23 marzo ’44, perché malata,  ma sarà lei a riempire di esplosivo il carretto della nettezza urbana utilizzato per l’attacco al Polizeiregiment Bozen, che causerà la morte di 33 militari tedeschi.
Verrà insignita, dopo la Liberazione, della medaglia al valor militare. Ciao Lucia e grazie per il grande contributo dato contro l’occupazione nazifascista.

Alcune stime della partecipazione femminile alla Resistenza:
70000 donne organizzate nei Gruppi di difesa della Donna;
35000 donne partigiane, che operavano come combattenti;
20000 donne con funzioni di supporto;
4563 arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti;
2900 giustiziate o uccise in combattimento;
2750 deportate in Germania nei lager nazisti;
1700 donne ferite
623 fucilate e cadute;
512 commissarie di guerra.



-http://violapost.it/2015/09/27/e-morta-ieri-lultima-partigiana-di-via-rasella/#sthash.XFct3VaX.dpuf

26/09/15

Il regime fascista egiziano sferra un'indicile repressione contro le donne, le masse popolari ricorrendo sempre più sistematicamente allo stupro.... e nonostante i drammatici rapporti e inchieste delle Ass.ni per i diritti umani, il governo Renzi non si fa alcun scrupolo a stringere accordi politco-economici con il boia Al Sisi

EGITTO, dove lo stupro è di Stato
egitto donna
L’ultimo rapporto della FIDH parla dell’uso “sistematico” della violenza sessuale da parte delle forze di sicurezza. Abusi quasi mai denunciati, usati per mettere a tacere il dissenso
Roma, 25 settembre 2015, Nena News – La statistica è carente, ma le testimonianze non mancano e quelle raccolte nel rapporto dell’International Federation for Human Rights (FIDH) dipingono un quadro a tinte fosche dell’Egitto e del grado di tutela dei diritti umani nel Paese.In particolare, dai racconti è emerso un uso “sistematico” dello stupro da parte delle forze di sicurezza, che godono di una quasi totale impunità per gli abusi e le torture che anche altre organizzazioni hanno denunciato negli ultimi anni. Uno strapotere della polizia che ha fatto parlare attivisti e analisti di “Stato di polizia” e che si è rafforzato dopo il golpe del luglio 2013, quando l’ex presidente eletto Mohamed Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani, è stato scacciato da Al Sisi, un militareDa allora sono state arrestate 16mila persone (le Ong parlano di 40mila) e il rapporto di FIDH arriva a ipotizzare che tutti coloro che sono passati nelle carceri e nelle caserme egiziane potrebbero aver subito una qualche forma di violenza. Persino i parenti dei detenuti, sottoposti a perquisizioni particolari dai secondini. Non solo, molte testimonianze parlano di abusi anche per strada, come ha raccontato al sito Middle East Eye una ragazza: mentre era vicino all’università di al-Azhar ha avuto un battibecco con un poliziotto che allungava le mani su una donna e l’agente l’ha trascinata nella camionetta insieme con altri colleghi, e lì l’hanno picchiata e stuprata. Il rapporto della FIDH invece parla di due ragazzi molestati in una caserma dopo l’arresto durante una manifestazione anti-governativa. Le proteste che sono seguite al golpe del 2013 sono state represse nel sangue, con centinaia di vittime, migliaia di arresti che ancora continuano, processi nei tribunali militari che hanno comminato centinaia di condanne a morte, leggi liberticide che hanno imbavagliato la stampa e i dissidenti. La repressione ha generato un clima di terrore alimentato dai racconti di chi è stato in carcere e ha subito torture e abusi, e dalla onnipresenza di agenti nelle strade, con i loro controlli assillanti. La percezione di essere sempre sotto il controllo della polizia, o dell’intelligence che monitora internet e cellulari degli egiziani, unita al tabù che vige intorno al sesso nella società egiziana e al fatto che chi dovrebbe proteggere la popolazione invece la vessa, fanno sì che le denunce siano pochissime. Di qui la mancanza di dati, di numeri che potrebbero raccontare di un atteggiamento brutale diffuso tra i membri delle forze dell’ordine. Un ricorso all’abuso che non si manifesta soltanto contro gli esponenti o i simpatizzanti dei Fratelli Musulmani, messi al bando da Al Sisi e diventai il nemico numero uno dell’Egitto del nuovo faraone. Le speranze e le aspettative di democrazia e di libertà di quelli che erano scesi in piazza nel gennaio del 2011, riuscendo a rovesciare il regime decennale di Hosni Mubarak, sono svanite o sono state messe a tacere con il golpe del 2013.
Le forze di sicurezza umiliate dalla folla di Piazza Tahrir nel 2011, adesso si prendono la loro vendetta, sicure che la passeranno liscia. È questo che pensano alcuni. Dopo una serie di denunce per molestie sessuali avvenute proprio nella famosa piazza da cui era partita la rivolta degli egiziani, nel 2014 il presidente aveva ammonito i responsabili e aveva invocato una “moralizzazione della società”, inoltre, aveva istituito un ufficio per la protezione delle donne. Ma “c’è stato un solo caso di civili incriminati per violenza sessuale e nessun agente è mai stato coinvolto in casi del genere”, ha detto il portavoce di FIDH.Stupri e molestie erano diffusi pure sotto Mubarak, ma c’è stato un boom anche secondo Amnesty International: “Le forze di sicurezza usano la forza per tenere le persone sotto controllo e punirle se osano contestare l’autorità”. Lo stupro è un’arma potente, che umilia e di cui non si parla apertamente. Tuttavia, non è l’unico mezzo usato nelle caserme, dove oltre alle torture, si continuano a praticare gli ormai famosi test di verginità. Una violenza di Stato, inutile e ingiustificata, applicata a chi va a manifestare in piazza, a che si occupa di diritti, di lavoro, di informazione. L’opposizione non ha alcuno spazio per esprimersi.È l’altra faccia dell’Egitto, quella che si cerca di tenere sotto il tappeto, mostrando invece le grandi opere e i traguardi economici del Paese dopo la rivoluzione del 25 gennaio. Allora molti egiziani sperarono di essersi sbarazzati di un regime oppressivo, mentre oggi non sono in pochi a pensare che Al Sisi sia peggiore di Mubarak. Ma al pari del faraone che l’ha preceduto, Al Sisi è il benvenuto in tutte le cancellerie occidentali, è considerato un alleato prezioso e un altrettanto prezioso partner commerciale. Salvo qualche dichiarazione istituzionale e l’impegno delle Ong e delle associazioni, i diritti delle donne e degli uomini egiziani sono finiti in fondo alla lista. Nena News
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25/09/15

Orrori lontani... ma non abbastanza per non esserne complici!

Contro il sionismo e l'imperialismo, contro la complicità del governo Renzi, che manda al massacro le donne Nigeriane invece di accoglierle e concedergli asilo politico e continua a sostenere la guerra genocida di Israele contro il popolo palestinese
NOI NON SIAMO COMPLICI
SIAMO CON LE SORELLE NIGERIANE E PALESTINESI
SIAMO INTERNAZIONALISTE E PROLETARIE
SIAMO ANTIMPERIALISTE
e continuiamo con forza a gridare:
IL PROLETARIATO NON HA NAZIONE
INTERNAZIONALISMO, RIVOLUZIONE

Da una mail dell'UDI di Napoli:

Mediterranea - UDI Catania ORRORI “LONTANI” - settembre 2015 Settembre 2015 - Rapporto ONU sulle vittime di BOKO HARAM Quasi un milione e mezzo di bambini sono oggi profughi tra Nigeria, Camerun, Niger e Chad La recente relazione delle agenzie dell’ONU che assistono le popolazioni dell’area in Africa elenca il numero e le condizioni delle vittime di Boko Haram - tra le popolazioni che fuggono e cercano ricovero nei paesi vicini un numero impressionate di bambini, che ha avuto una accelerazione nei mesi estivi. Di questo milione e mezzo di bambini, circa la metà ha un’età inferiore ai 5 anni e il numero maggiore si è riversato nei territori nord della Nigeria.
Continua la relazione dell’ONU: si continua a uccidere, rapire e usare donne e bambini come bombe umane, nonostante gli sforzo congiunti dei paesi minacciati da Boko Haram i terroristi continuano ad attaccare i villaggi per procurasi beni di sussistenza, si moltiplicano gli attacchi ai luoghi di culto, ai mercati, alle fermate degli autobus.
Chi sono i terroristi protagonisti degli attacchi suicidi, la forma più sanguinaria di violenza praticata da Boko Haram al prezzo della vita di bambine e bambini ignari? Leggiamo in un comunicato degli uffici dell’ONU in Chad del luglio scorso, distribuito tra il personale per tentare di individuare i kamikaze: hanno la pelle chiara nella parte inferiore del viso, perché si sono rasati da poco, sono vigili e concentrati, parlano da soli - forse stanno pregando -, portano abiti pesanti e sporchi.
La maggior parte di loro sono adolescenti vulnerabili. In Camerun sono venditrici di datteri, bambine che chiedono l’elemosina, non hanno alcuna ideologia e spesso non sanno di trasportare esplosivo, sono state avvicinate in cambio di poche monete. In Nigeria invece molte ragazze tra quelle che nei mesi precedenti sono state rapite dai loro villaggi e che sono state ‘consegnate’ ai combattenti, dopo la morte in azione del kamikaze decidono di dedicarsi alla causa e a loro volta “scelgono” di darsi la morte: è una terribile maniera di mettere fine a un calvario di cui non sperano più la fine. Si intensificano i controlli sulle scuole coraniche, individuate un po’ ovunque come possibili luoghi di indottrinamento ideologico, ma i risultati sono scarsi. Il coordinatore delle attività ONU in zona denuncia che nello stesso tempo stanno venendo a mancare i mezzi finanziari per il sostegno di base alla massa di rifugiati riparati nei vari ‘campi’: da febbraio 2015 mancano vestiti, letti, protezioni contro gli insetti e le prossime piogge. In alcuni campi i rifugiati mangiano una sola volta al giorno e la fornitura di medicinali è sempre precaria.
Nessuna assistenza è possibile per lo stato di choc e psicosi soprattutto di più piccoli provenienti da aree della Nigeria in cui i raid di Boko Haram sono diventati un incubo quotidiano.
 
Settembre 1982 – Sabra e Shatila, trentatre anni fa, all’alba La strage nel quartiere-campo palestinese di Sabra e Shatila, a Beirut, il 18 settembre, in azione i falangisti libanesi con il supporto logistico dell’esercito israeliano di Ariel Sharon.
Oltre 3000 civili trucidati. Da un articolo di Maurizio Musolino Trentatré anni sono passati dalla strage di Sabra e Shatila e da allora ogni anno si rinnova la catarsi di un ricordo che è anche un guardarsi indietro, verso la propria storia fatta di sconfitte e speranze, e un cercare in quel drammatico evento le ragioni per andare avanti alla ricerca di un futuro difficile da individuare. Oggi come allora, infatti, si cerca di negare al popolo di Palestina il presente; ieri con la mattanza messa in atto dai falangisti alleati di Israele e oggi attraverso l’assenza di diritti e vessazioni di ogni tipo, disperdendoli nel mondo per cancellarne la memoria e la possibilità di futuro. «Mio nonno era un palestinese e abitava in Galilea, poi venne la guerra, bruciarono i nostri villaggi. Ci rifugiammo prima in Libano, poi a Damasco. Da allora la mia famiglia divenne palestinese rifugiata in Siria. Io sono nata a Yarmuk, non ho mai capito bene cosa ero: palestinese, ma anche siriana… Non potevo negare le mie origini, la Palestina, ma la Siria era il paese che aveva accolto la mia famiglia e io ci vivevo bene. Poi la Siria è esplosa, Yarmuk è diventato teatro di scontri e violenze e sono fuggita in Libano, divenendo così una palestinese rifugiata in Siria che vive da profuga in Libano. Mio figlio oggi non vuole restare qui, ha 23 anni e vuole raggiungere un suo zio in Norvegia. Cosa diventerà? Non sappiamo più cosa siamo!».
Parole semplici e nello stesso tempo piene di disperazione, dette da Amal, una dei tantissimi profughi che sono arrivati in questi mesi dalla Siria. Fra questi sono circa 40mila quelli di origine palestinese. Uno spaccato della tragedia di un popolo. Per lei il massacro di Sabra e Chatila è solo un ricordo, uno dei tanti brutti ricordi. Sono in tanti a voler scacciare l’ombra del massacro compiuto dalle falangi libanesi (cristiani maroniti). Lo fanno da sempre gli esecutori, che continuano a negare spudoratamente quel crimine. Lo fa anche una parte della popolazione palestinese, frustrata dalle troppe ingiustizie subite e schiacciata da un futuro inesistente. Ma quel ricordo, quella memoria, resta viva, come una ferita aperta. Una ferita che si palesa negli occhi dei familiari delle vittime, che ostinatamente chiedono giustizia per i loro cari. Donne e anziani che portano sulle spalle la responsabilità di traghettare la memoria del popolo palestinese alle nuove generazioni.
MEDITERRANEA UDI Catania A cura di Carla Pecis - 20 settembre 2015

Comunicato Donne in Lotta

SOLIDARIETA' ALLE LAVORATRICI YOOX IN LOTTA CONTRO I LICENZIAMENTI!

Le Donne in Lotta del coordinamento No Austerity esprimono la loro solidarietà alle lavoratrici delle cooperative Mr Jobs e Geodis, in appalto alla multinazionale Yoox, che hanno organizzato uno sciopero prolungato con picchetto permanente all'interporto di Bologna (hanno anche occupato simbolicamente un tetto srotolando un enorme striscione contro i licenziamenti).
Le lavoratrici, sostenute dal Si.Cobas e da tanti solidali, protestano contro il licenziamento di alcune lavoratrici, tra cui attiviste sindacali, punite dall'azienda per le loro lotte contro il maschilismo e gli abusi sessuali sul luogo di lavoro e contro pesanti condizioni salariali e lavorative. Alcune di loro sono immigrate e subiscono quindi una doppia oppressione, sia maschilista che razzista.   
Pensiamo che le lavoratrici della Yoox, con la loro lotta determinata contro gli abusi e lo sfruttamento, siano un esempio per tutte le donne lavoratrici. Il maschilismo si manifesta quotidianamente sia nelle famiglie sia nei luoghi di lavoro, con violenze fisiche e verbali nei confronti delle donne: l'aumento agghiacciante dei femminicidi in Italia ne è l'espressione più brutale. Molestie sessuali, ricatti, provocazioni, battute offensive, discriminazioni nei confronti delle donne (come nel caso dei licenziamenti alla Yoox) aggravano le già pesanti condizioni di lavoro.
Per questo appoggiamo la lotta delle lavoratrici Yoox e facciamo appello ad organizzare la più ampia solidarietà alla loro lotta! No al maschilismo, no al razzismo, no allo sfruttamento!  

Donne in Lotta No Austerity 
www.coordinamentonoausterity.org

Il nuovo business sulla pelle delle donne: "Aborto fai da te", il kit si acquista online!

UNA DENUNCIA E UNA PRIMA RISPOSTA DA TORINO
 
Il nuovo business sulla pelle delle donne - aborto fai da te, abortire legalmente a causa della massiccia "obiezione di coscienza" è diventato per le donne un problema insormontabile. Contro gli attacchi ai diritti e all'autodeterminazione lotta dura contro il sistema moderno fascista!
Care compagne, 
Ho inoltrato questa email alle mie colleghe e spontaneamente è partita nella scuola dove lavoro, un liceo di Torino, una campagna di informazione nelle classi da parte di alcune insegnanti. Il testo della mail è stato stampato e distribuito. Certo il terreno è già fertile nella mia scuola perché da tempo facciamo campagne di informazione sulla sessualità ecc, collaborando con i consultori pubblici e laici di zona, ma come dire l'informazione non si esaurisce mai. 
Grazie 
Ilenia


Aborto fai da te, il kit si acquista online
Da l'Espresso.

Prolificano i siti che vendono farmaci per l'interruzione di gravidanza. Poche domande, anonimato garantito, prezzi scontati. E immani rischi per la salute. Una versione 2.0 delle mammane. Perché nonostante la legge 194 sia in vigore da quasi 40 anni, interrompere una gravidanza in Italia è ancora molto difficile
DI ARIANNA GIUNTI
Aborto fai da te, il kit si acquista online
Il nuovo business sulla pelle delle donne
A pubblicizzare il prodotto c’è una bella dottoressa bionda, avvolta da un camice bianco, che sfodera un sorriso smagliante.  Sembra dirti: “Non avere paura”. La paura, in effetti, passa mano a mano che si scorrono le rassicuranti spiegazioni mediche sulla homepage del sito. Sono scritte in inglese, ma non occorre aver studiato a Oxford per capirne il senso:  “Niente rischi medici, niente complicazioni, niente conseguenze future”. E soprattutto: “Privacy più assoluta”. Quindi basta scegliere la quantità (poche singole pillole o un’intera confezione), digitare il numero della propria carta di credito e fornire un indirizzo. Et voilà: per meno di 180 euro, entro cinque giorni lavorativi, ben nascosto in un anonimo pacchetto, eccoti servito il kit per l’aborto. Più facile che bere un bicchier d’acqua.

La prima a lanciare l’allarme sul fenomeno è stata la Procura di Genova. Che nel 2013 ha avviato tre inchieste parallele e che cinque mesi fa ha arricchito i propri fascicoli con la testimonianza di Francesca, nome di fantasia di una studentessa di 17 anni, ricoverata all’ospedale San Martino per via di alcuni anomali e prolungati sanguinamenti. La liceale ha raccontato ai medici che era colpa delle mestruazioni, particolarmente dolorose e abbondanti. Davanti a un’ecografia, però, la verità è venuta a galla: ingoiando nove compresse di Cytotec in 24 ore il suo utero si era contratto fino a collassare in una lenta emorragia interna. I medici le hanno salvato la vita per un soffio.

Contemporaneamente, indagini simili su aborti definiti “spontanei” sono spuntate anche a Torino e a Pescara. Dove il comune denominatore, oltre alla giovane età delle protagoniste, è un medicinale: il Cytotec, appunto. Un farmaco per combattere l’ulcera composto da Misoprostolo dal costo di circa 14 euro a scatola che, se assunto in dosi massicce, provoca il distaccamento del feto dalla placenta e quindi la sua espulsione. In parole povere: un aborto.

Ormai è un dato di fatto: nonostante la legge 194 sia in vigore da quasi 40 anni, interrompere una gravidanza in Italia è ancora molto difficile. Lo dimostrano le cifre, lo raccontano le storie e lo ha messo per iscritto il Consiglio d’Europa, che di recente ha condannato il nostro Paese per non aver rispettato il diritto alla salute delle donne che vogliono interrompere la gravidanza.

E quindi il piano B si chiama “aborto fai-da-te”. Una versione rivista e corretta delle mammane – senza l’utilizzo di ferri chirurgici – alla quale non ricorrono solamente le donne straniere non in regola con i documenti che sono terrorizzate all’idea di rivolgersi a un consultorio o a un ospedale. Ma anche moltissime italiane. Che sperano così di accelerare i tempi e semplificare le cose. A loro rischio e pericolo.

Perché questi farmaci - loro malgrado - sono andati ad alimentare un incontrollabile mercato nero e un floridissimo business su internet. Un mare magnum in bilico fra il lecito e l’illecito in cui sono a disposizione flaconi e pastiglie che in Italia sono vietati senza ricetta medica. E che – è il caso del Cytotec – vengono utilizzati per scopi diversi rispetto alla loro funzione originaria. Ma non solo. Sul web è disponibile anche il Mifepristone, un principio attivo che contrasta l’ormone della gravidanza. Quella che viene comunemente chiamata pillola abortiva, la RU486. Che in questo caso viene comodamente acquistata con un click senza passare per consultori, ginecologi, eventuali obiettori di coscienza e quindi assunta senza assistenza medica.

Questo nonostante le case farmaceutiche produttrici (nel caso del Cytotec, la Pfizer) elenchino sul foglietto illustrativo, nel pieno rispetto delle regole, indicazioni ed effetti collaterali. Fra quelli del Cytotec - che può essere venduto solo su ricetta medica non ripetibile - c’è il fatto di essere particolarmente rischioso per le donne in gravidanza.

VUOI IL KIT? PAGA SUBITO
I siti stranieri che commerciano questi medicinali sono a centinaia e in continuo aumento. Basta andare su Google e digitare  “buy Cytotec”, “self induced abortion” o semplicemente “abortion kit”. Il motore di ricerca in pochi secondi mette in fila una lista di siti, alcuni sono addirittura in evidenza perché vendono le pastiglie più a buon mercato di altri. Molti di questi sono tradotti in italiano.

Uno dei più popolari è  abortionpillrx.com. La grafica è chiara: si può scegliere fra 16 diversi prodotti per il “controllo delle nascite”. In cima alla lista campeggia il kit per l’aborto. Che comprende dosi di pastiglie di entrambi i principi attivi: misoprostolo e mifepristone. Viene spiegato tutto per filo e per segno: prima bisogna ingerire il mifepristone – che agisce togliendo all’embrione l’apporto di ossigeno e il nutrimento -  poi il misoprostolo che provoca le contrazioni e il vero e proprio aborto.

Nei dettagli è elencata anche la posologia: quante pastiglie assumere, ogni quante ore e come comportarsi dopo averle ingerite. Oltre al kit basico (199 dollari), il supermarket dei farmaci offre anche quello più completo (240 dollari) che comprende in aggiunta medicinali da assumere “in caso di complicazioni mediche”: antinfiammatori e coagulanti del sangue. Se le viene un’emorragia, insomma, la paziente si deve auto medicare.

Il sito assicura che i farmaci sono stati approvati e sperimentati con successo dalla Food and Drug Administration, l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici. Ed è vero. Soltanto che la FDA ne prevede l’utilizzo per altri scopi e solo dietro parere del medico.
Qui, per esempio, la funzione del Cytotec “generico” come gastroprotettore - quella che dovrebbe avere per legge - non viene neppure menzionata. Ma viene direttamente consigliato come “pillola utilizzata per interrompere una gravidanza indesiderata”. Sul web si possono acquistare dalle 4 alle 12 pillole. Quattro pillole costano 100 dollari. E poco importa che la farmacia virtuale sconsigli alle clienti di assumere i farmaci contenuti nel “kit per l’aborto” oltre le dieci settimane di gravidanza. Perché tanto nessuno controlla. E per riceverle più in fretta basta pagare una cifra più alta.

Healthydancer.com parla un perfetto italiano e va dritto al sodo: “I nostri farmaci sono più economici del 70% rispetto alla vostra farmacia locale”. Qui, in bella vista, sono effettivamente messi in vendita farmaci super scontati con tanto di categoria “offerte speciali” e “più venduti”. Questo sito rispetta la legge: il Cytotec viene indicato come medicinale per curare l’ulcera. Ciò non vieta, però, a chi volesse acquistarlo per altri fini, di accaparrarsi una scatola da dieci pillole per 35 euro e 54 centesimi. O di comprare una singola pillola per 1,78 euro.

Oltre al Cytotec, in questo negozio virtuale è possibile fare spesa di Viagra e Cialis, spesso dati in omaggio a chi acquista altri medicinali. O ci si può procurare potentissimi psicofarmaci, la cui vendita normalmente potrebbe avvenire solo dietro ricetta medica firmata da uno psichiatra.
Il punto di forza di Healthydancer è la discrezione: il pacchetto con il medicinale arriverà a casa imballato in maniera accurata per non far vedere cosa si è acquistato. “Riceverete un pacco discreto così nessuno a parte voi saprà del vostro ordine – rassicurano dalla farmacia web – inoltre non indichiamo il costo del vostro ordine sul pacco, che sarà spedito come un regalo. In questo caso non dovrete pagare i diritti doganali”.

Più esplicito è il sito www.womenonweb.org, tradotto in 13 lingue e con sede ad Amsterdam, che si definisce una “comunità digitale per il diritto all’aborto”. Lo scopo è quello di dare supporto e assistenza virtuale alle donne che vivono in Paesi dove l’interruzione di gravidanza è illegale e di “condividere le esperienze”. Ma a rivolgersi al portale ci sono donne da tutto il mondo, anche italiane. Prima di ricevere le pillole bisogna rispondere a un test online sul proprio stato di salute fisico e mentale. In pratica, però, mentire sulle risposte è un gioco da ragazzi. E perché la consegna vada a buon fine, è obbligatorio fare una donazione di come minimo 90 euro.

Facilissima reperibilità del “kit dell’aborto” anche su www.buyabortionpillx.com. Qui, oltre ai blister e alle spiegazioni su come assumere le pillole, compaiono le recensioni di alcune donne che ne hanno fatto uso. Tutte le testimonianze sono – ovviamente – entusiastiche.

INDAGINI IN CORSO
Nella realtà, pero, c’è ben poco di che entusiasmarsi. Le conseguenze di questa pericolosa tendenza agli aborti fai-da-te sono scritte nero su bianco sui referti medici degli ospedali, che si sono poi trasformati in denunce in tutta Italia.

Ruota intorno al pronto soccorso ligure di Lavagna, per esempio, l’indagine della Procura di Genova che cerca di fare luce su una serie di ricoveri di donne reduci da violente emorragie interne, dopo aborti definiti “spontanei”.
A fare partire l’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Alberto Landolfi è stato il caso di una ragazza di 24 anni che in un anno si è presentata al pronto soccorso 14 volte, con emorragie in corso. Per ben quattro volte i medici le hanno diagnosticato un avvenuto aborto. Messa alle strette, la ragazza ha aperto uno squarcio su un sottobosco illegale fatto di commercio clandestino di farmaci, spesso reperiti sul web. Il suo caso si è quindi andato a intrecciare ad altre due indagini: quella di due ragazze originarie dell’Ecuador di 17 e 29 anni che hanno assunto Cytotec dopo essere state convinte da due “imbonitori” e quello di cinque prostitute che, minacciate dai loro sfruttatori, sono state obbligate a fare uso del farmaco con serie conseguenze. Indagini che poi dal Genovese si sono estese a tutta la Liguria.

Agghiacciante anche lo spaccato ricostruito lo scorso febbraio dalla Squadra Mobile di Pescara che ha portato alla luce l’utilizzo clandestino del farmaco da parte di un’organizzazione di sfruttatori romeni, che obbligava le prostitute in stato interessante a ingerire il Cytotec e ad abortire in sordide stanze d’albergo, sopportando perdite di sangue e dolori lancinanti fino a rischiare la vita.

Una preoccupante lista di “aborti spontanei sospetti” – così li hanno definiti i medici del pronto soccorso – si è registrata negli ultimi cinque anni anche al Sant’Anna di Torino. “Le ragazze arrivano terrorizzate e soprattutto da sole – raccontano dall’ospedale piemontese - chi le ha aiutate rischia infatti una denuncia penale per procurato aborto”.

PERICOLO CONTRAFFAZIONE
E se la Francia qualche anno fa è corsa ai ripari con una campagna informativa finalizzata a mettere in guardia le donne dall’utilizzo sbagliato di questi farmaci acquistabili online, l’Italia sembra ancora ignorare la portata del problema.
Conferma a l’Espresso Luigi Conte, segretario generale della Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici Chirurghi: “Si tratta di un business incontrollabile e pericolosissimo, che non permette nessuna verifica sulla qualità dei medicinali venduti”. “Oltretutto – aggiunge – non c’è garanzia per il cittadino che così facendo esce dalla normale catena di controllo dei prodotti venduti in farmacia e, in caso di effetti collaterali, non ha garanzie da parte dell’azienda produttrice”.  Il rischio di incappare in medicinali contraffatti, inoltre, è altissimo. Come spiegano i Carabinieri del Nucleo Anti Sofisticazioni: “Su internet i siti scrivono il nome del brand che si vuole acquistare, specificando però che si tratta di un “generico”. Spesso sono farmaci con un principio attivo minimo o con eccipienti nocivi per la salute, che sono stati lavorati in condizioni igieniche disastrose”.
Va da sé, dunque, che la situazione diventa ancora più grave quando si parla di farmaci delicatissimi, come quelli per provocare un aborto.
“A volte le lunghe procedure che prevede la legge italiana sull’interruzione di gravidanza, unite alla carenza di educazione sessuale e sanitaria nelle ragazze molto giovani e all’assenza di serie campagne di sensibilizzazione, possono portare a dare credito a siti che, vendendo il “kit per l’aborto”, si spacciano per “benefattori” – conclude il medico Luigi Conte – in realtà tutto viene fatto per soldi, per alimentare un business fuori controllo”. Sulla pelle delle donne.

19/09/15

Settembre andiamo, è tempo di lottare! Un saluto e un appello all'assemblea del MFPR

Care compagne, stiamo cercando fino all'ultimo di vedere se una nostra compagna della zona può essere presente all'assemblea, abbiamo grossi problemi anche di lavoro.
In ogni caso, dato che il tema è importante, vi mandiamo in allegato un nostro intervento-proposta - che, se è possibile, vi chiediamo di leggere.

Un forte saluto
MFPR 



Organizziamo un “nuovo sciopero delle donne”.

C’è una situazione molto matura. Le insegnanti stanno dando un positivo esempio di lotta, ma in questo nuovo sciopero delle donne vogliamo che siano protagoniste principali le operaie, le lavoratrici più sfruttate, discriminate, precarizzate, oppresse, le disoccupate.
Le operaie delle fabbriche che si ammazzano di fatica, come alla Fiat di Melfi, e per cui ogni cancellazione di diritti si ripercuote sull'intera condizione di vita; le braccianti che vivono una moderna schiavitù, che muoiono sui campi e vengono ricattate sessualmente dai padroni e dai caporali; le immigrate che subiscono una tripla discriminazione e oppressione; le precarie che lavorano anche h 1,50 al giorno per fare le pulizie e prendono 250,00 euro al mese, le disoccupate soprattutto al sud, ecc.
Togliere o negare il lavoro alle donne è criminale non solo perché senza, quella donna non può mangiare, quell'altra non può mantenere i figli, ma perché a quelle donne stai togliendo l’elemento materiale, concreto di uscita di casa, di unità con le altre lavoratrici, di contrasto quotidiano con il sistema capitalista, il lavoro come indipendenza economica, elemento di emancipazione.

Dopo il riuscito sciopero delle donne del 25 novembre 2013, che ha visto protagoniste migliaia e migliaia di donne – significativo lo sciopero di operaie delle fabbriche metalmeccaniche di Bergamo, Bologna; come la grandissima partecipazione – 12mila! - delle lavoratrici della scuola; oggi è necessario un nuovo sciopero delle donne che abbia come aspetto centrale proprio la condizione delle lavoratrici, del lavoro e del non lavoro, la condizione di discriminazione, di attacco ai diritti conquistati con le nostre lotte.

Marchionne  e tutti i padroni, il governo si illudono di tirarla troppo alla lunga con una situazione di pesante sfruttamento e oppressione, prima o poi esploderà e noi dobbiamo contribuire all’accensione della miccia.
Lo sciopero delle donne è la nuova scintilla che deve accrescere la luce lungo il sentiero della doppia lotta.

Questo nuovo sciopero delle donne pensiamo debba essere frutto della combinazione della condizione sempre peggiore delle donne lavoratrici, che rende necessario un grido di ribellione, di lotta unitaria, dal basso/autorganizzata che dia coraggio, forza ad una battaglia chiaramente difficile, per le varie forme di oppressione/ricatto/paure/ineluttabilità del sacrificio per la famiglia, ecc., che accompagnano la condizione delle donne; e di un lavoro/legame con le realtà lavorative concrete delle lavoratrici.
In questo senso noi preferiamo la "strada" ad internet - e nelle nostre realtà è questo che facciamo.

Proponiamo quindi di lavorare insieme ad un nuovo sciopero delle donne da realizzare in questo autunno o comunque entro l'anno.
Per preparare questo nuovo sciopero, vorremmo e proponiamo di fare una grossa squadra ed andare alla Sata di Melfi e in Puglia per una iniziativa verso le braccianti.

UN GROSSO SALUTO ALLA VOSTRA ASSEMBLEA

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario
mfpr.naz@gmail.com - 3408429376

19.9.15

VIAGGIO NELL'INFERNO DELLE BRACCIANTI

14 OTTOBRE MANIFESTAZIONE A BARI ORGANIZZATA DALLA FLAI/CGIL

Riportiamo stralci di un'inchiesta. Anche da questa viene fuori gli interessi in primis delle aziende, che usano il braccio sporco del caporale per fare più profitti, sfruttare di più i braccianti, tagliare i salari. Tutte le denunce e le leggi contro il caporalato che non colpiscono l'"utilizzatore finale", sono un modo per coprire e difendere gli interessi del capitale agricolo e non cambiare nulla. L'unico "cambiamento" è stato negli ultimi tempi il passaggio dal caporale all'agenzia interinale, spesso in odor di mafia e che si comporta come il caporale.
L'inchiesta, ma soprattutto la realtà che stà da sempre e che ci volevano le morti perchè si "scoprisse", mostra come, tra i braccianti, le donne siano le più sfruttate, oppresse, costrette a subire anche violenze sessuali; una condizione simile a quella degli immigrati. Occorre coraggio e superare insieme la paura e i ricatti.  Occorre uno sciopero delle donne, costruito dal basso. Questo appello porteremo anche alla manifestazione del 14 ottobre.
 (Da un inchiesta di Anna Rita Palmisani - sul Quotidiano)
In campo agricolo, le donne superano il 65% del totale e guadagnano meno dell'uomo perchè per il mondo agricolo "vale meno". E la stessa lavoratrice si convince di valere poco e non lotta per far sì che i propri diritti vengano tutelati... diventi schiava del caporale che se ti fermi può licenziarti, se non fai la brava puòlicenziarti e, a volte, se non sei "carina" (la richiesta perentoria di sottostare ad atti sessuali e leviolenze sono molto diffuse) può licenziarti...
I caporali che lavorano in Puglia vanno spesso a reclutare le ragazze soprattutto nelle zone agricole della Romania. le imbarcano sui pulmini e le fanno viaggiare per un giorno e una notte.
La paga della giornata la decide il caporale con l'azienda, ma al lavoratore arriva già ripulita delle quote a lui spettanti.
...(le braccianti controllate, pungolate, minacciate dalla fattora) devono andare in bagno una sola volta durante la giornata.
"Parlare di bagno, però, è un eufemismo - dice Urselli della Flai Cgil - Si tratta di cespugli, alberi o, nellemigliori delle ipotesi si un telo che viene posizionato sotto il tendone... non c'è neanche la possibilità di lavarsi le mani... ci troviamo spesso di fronte ad infezioni di vario genere.
Per non parlare dei trattamenti anticrittogamici. Abbiamo avuto molti episodi di avvelenamento non solo per chi applica i trattamenti ma anche per chi in maniera indiretta respira questi veleni. La situazione è aggravata dalla presenza delle coperture dei tendoni, che non permettono l'areazione. A lungo andare, poi, i lavoratori manifestano diverse forme di tumori o altre patologie. La legge in materia di sicurezza sul lavoro nella maggior parte dei casi non viene applicata e non ci sono i controlli.

ALCUNI DATI:
Gli addetto all'agricoltura in Italia sono 1 milione e 200mila. Nel 43% dei casi (dati istat) si tratta di lavoro sommerso.
In Puglia circa 40mila persone vengono ingaggiate dai caporali. Per la maggiorparte sono donne.
In provincia di taranto, sui circa 28mila braccianti, il 50% viene impiegato tramite i caporali. Ogni caporale ha sotto di sè dalle 50 alle 200 persone. Il caporale prende dalle aziende 10/12 euro a bracciante, guadagnando migliaia di euro a giornata.
L'orario di lavoro sindacale standard è di 6 ore e mezzo giornaliere. In realtà non va mai al di sotto delle 7 ore, giungendo ad oltrepassare le 15.
le donne vivono in una condizione di sfruttamento pari a quella degli immigrati.
La paga provinciale sarebbe di 54 euro al giorno: all'uomo ne arrivano s35, la donna ne prende solo 27... vengono segnate la metà delle giornate di lavoro effettivamente lavorate. le braccianti vengono costrette a firmare buste paga che rispettano i contratti, perchè le aziende possano accedere ai finanziamenti pubblici.

India - la guerra contro il popolo e contro i maoisti fatta di stupri e torture!

Queste tremende foto, danno solo una parziale visione di quello che il governo Indiano e la polizia fa verso le donne, combattenti maoiste del Partito Comunista dell'India Maoista: stupri e tremende torture, che si concludono con uccisioni. La partecipazione delle donne alla guerra popolare in India è altissima, sono più del 60%. Ed è questo che fa paura e che lo Stato fascista indiano vuole punire e reprimere con una ferocia che verso le donne è fatta anche di torture sessuali. Il Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario chiama le donne, le giornaliste, le compagne, a denunciare in tutti i modi questa guerra contro il popolo e le donne indiane, a mobilitarsi a sostegno dello stop alle torture e assassini e in solidarietà con le nostre sorelle che portano avanti una doppia/tripla rivoluzione. Stiamo preparando una campagna su questo, ma fin da ora chiamiamo a non far passare sotto silenzio e a rivolgere la protesta anche verso il nostro governo italiano, amico del governo Modi

MFPR mfpr.naz@gmail.com 

“Comrade Shruthi who was killed in alleged encounter on 16th September was captured alive & tortured brutally. Her elbow was twisted 180 degrees and torn apart by binette, police poured acid on her stomach, she was raped by the police and finally killed her in point blank range.“-Statement circulated by democratic activists on social media

La condanna a morte del governo Renzi: 20 donne nigeriane violentate, rimpatriate con la forza e di nascosto!


E' passato sotto un sostanziale silenzio questa gravissima operazione dello Stato avvenuta giovedì scorso nel Cie di Ponte Galeria a Roma, che condanna a morte certa nel loro paese 20 donne, vittime già di violenze e di tratta. 
E' così che il governo, Renzi e lo Stato italiano si riempie la bocca sull'Italia paese che tutelerebbe i migranti!

QUESTE DONNE DEVONO TORNARE SUBITO IN ITALIA E DEVE ESSERE RICONOSCIUTO LORO IL DIRITTO DI ASILO.

Sosteniamo le azioni in corso e la protesta delle donne di "lasciateCIEntrare".
FACCIAMO SENTIRE DOVUNQUE LA NOSTRA SOLIDARIETA'!


Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario - mfpr.naz@gmail.com 


Vittime di tratta: rimpatriate

(da Il Manifesto del 18 settembre) - L’aereo è decol­lato. Con le per­sone den­tro. La frase, lapi­da­ria, arriva da un poli­ziotto di guar­dia all’ingresso del Ter­mi­nal 5, aero­porto di Fiu­mi­cino. L’aereo è un veli­volo della com­pa­gnia Meri­diana. Le per­sone dovreb­bero essere circa venti donne nige­riane. Il con­di­zio­nale è d’obbligo, per­ché le infor­ma­zioni che arri­vano – quando arri­vano – non hanno alcuna forma uffi­ciale. Sem­bra che non sia lecito per nes­suno sapere cosa stia suc­ce­dendo all’interno del Cen­tro di Iden­ti­fi­ca­zione ed Espul­sione di Ponte Gale­ria (Roma). Ma l’allarme che è stato lan­ciato ieri mat­tina parla chiaro: stanno depor­tando le ragazze.
«Le ragazze» sono 20 delle 66 donne nige­riane che lo scorso 26 luglio sono state rin­chiuse nel Cie. Arri­vate in due gruppi, alcune in Sici­lia e altre a Lam­pe­dusa, sono state iden­ti­fi­cate tra­mite foto­se­gna­la­mento. Nes­suno ha comu­ni­cato loro la pos­si­bi­lità di chie­dere pro­te­zione né fatto domande sul viag­gio. E dire che sarebbe bastato chie­dere quanto hanno pagato il tra­sporto in mare, per capire che c’era qual­cosa di strano: nes­suna di loro ha pagato nulla, un chiaro segnale che le ragazze sono vit­time di tratta. Nes­suno deve averle nem­meno guar­date, visto che por­tano sulla pelle i segni più che visi­bili delle per­cosse e delle vio­lenze subite. Al con­tra­rio, le donne sono state tra­sfe­rite senza alcun tipo di comu­ni­ca­zione nel Cie, dove hanno tro­vato subito il con­sole nige­riano ad atten­derle per l’identificazione e il con­se­guente rim­pa­trio imme­diato. Solo gra­zie all’allarme lan­ciato dalla coo­pe­ra­tiva Be Free, che ha uno spor­tello di con­su­lenza all’interno della strut­tura deten­tiva di Ponte Gale­ria, una dele­ga­zione della cam­pa­gna Lascia­te­CIEn­trare è entrata a fine ago­sto all’interno del Cie, incon­trando le ragazze. Le quali hanno chie­sto il motivo della deten­zione, hanno par­lato del lungo e dram­ma­tico viag­gio che hanno fatto, hanno mostrato i segni delle violenze.
È tutto testi­mo­niato anche in un ser­vi­zio video andato in onda al Tg2. Le donne hanno final­mente potuto pre­sen­tare domanda di asilo. Quat­tro sono state accolte in un per­corso di pro­te­zione, 40 invece hanno rice­vuto il diniego dalla Com­mis­sione per il rico­no­sci­mento della pro­te­zione, e con­se­guen­te­mente l’ordine di rim­pa­trio. Con­tro i prov­ve­di­menti sono stati pre­sen­tati ricorsi e sospen­sive del man­dato di espul­sione verso la Nige­ria. Un Paese, va sot­to­li­neato, dove la Far­ne­sina scon­si­glia di recarsi. Un Paese da cui pro­ven­gono le imma­gini ter­ri­fi­canti dei seque­stri e delle vio­lenze per­pe­trate da Boko Haram. #bring­bac­kour­girls, reci­tava tempo fa un hash­tag diven­tato virale, pro­prio per sol­le­vare l’attenzione sulla sorte di molte donne rapite dal gruppo ter­ro­ri­stico nige­riano. Men­tre l’Italia le sta depor­tando pro­prio in quell’inferno. Met­tendo a serio rischio la loro vita, come denun­cia anche l’europarlamentare Bar­bara Spi­nelli, sot­to­li­neando che durante i col­lo­qui con la Com­mis­sione gli avvo­cati non sono stati ammessi.
Era già cri­mi­nal­mente assurda la reclu­sione di que­ste ragazze in un posto del genere: avreb­bero biso­gno di acco­glienza, avreb­bero diritto per legge alla pro­te­zione, invece sono state chiuse in una strut­tura deu­ma­niz­zante, le cui con­di­zioni sono da tempo denun­ciate da Lascia­te­CIEn­trare, e il cui solo scopo è l’espulsione, non certo l’accoglienza. Anche il sin­daco di Roma Igna­zio Marino ha par­lato loro, incre­di­bil­mente, di pro­te­zione, durante una visita effet­tuata la set­ti­mana scorsa. Di fronte a que­sta ter­ri­bile situa­zione, si è riu­sciti addi­rit­tura a fare di peggio.
Intorno alle alte sbarre di ferro e ai muri che cir­con­dano il Cie non c’è nulla: un vuoto deso­lante fa sì che nes­suno senta le grida che pro­ven­gono da den­tro. E oggi le grida sono alte, per­ché le per­sone pro­vano a resi­stere alla depor­ta­zione. Alcune per­sone, soli­dali con i migranti, hanno rag­giunto il Cie, e pro­vano a met­tersi in con­tatto tele­fo­nico con i reclusi e le recluse. Una donna nige­riana spiega che que­sta mat­tina i poli­ziotti, insieme agli ope­ra­tori di Gepsa, ente fran­cese gestore del Cie, sono venuti a pre­le­vare alcune delle sue com­pa­gne. E afferma che con loro c’era un fun­zio­na­rio del con­so­lato nige­riano. Dopo qual­che ora, due blin­dati arri­vano davanti al Cie: scen­dono i poli­ziotti in assetto anti­som­mossa che spin­to­nano le per­sone accorse in soli­da­rietà con le recluse. Nel frat­tempo esce un pull­man con sopra le ragazze che gri­dano con­tro i fine­strini. Si muove verso l’aeroporto di Fiumicino.
Sem­bra che 5 ragazze, quelle con la sospen­siva con­fer­mata dal Tri­bu­nale di Roma, siano state fatte scen­dere dall’aereo. Sem­bra, per­ché nes­suno for­ni­sce infor­ma­zioni uffi­ciali. Ma il gruppo era di 20: per tutte era stata richie­sta la sospen­siva del prov­ve­di­mento di espul­sione, il Tri­bu­nale stava ana­liz­zando le richie­ste. Il volo intanto è decol­lato. Il Vimi­nale, con­tat­tato da Gabriella Guido, por­ta­voce di Lascia­te­CIEn­trare, non risponde.

18/09/15

A Taranto una donna senza lavoro aggredisce il sindaco e viene arrestata - LIBERTA' SUBITO PER LA DONNA!

"Chi è causa del suo mal, pianga sè stesso". 

Il Comune è fino in fondo responsabile di situazioni, che sono a centinaia a Taranto, come quella di questa donna. Il lavoro ci può essere eccome, ma si preferisce per i lavori/servizi pubblici darlo in decine di appalti che favoriscono gli interessi delle ditte e non creano posti di lavoro a Taranto; tutta la questione raccolta differenziata che potrebbe creare almeno 200 posti di lavoro, non viene fatta, o si vuole continuare a farla in pochi quartieri male (fatto che porta solo costi e nessun ritorno economico allo stesso Comune)... e potremmo continuare.
Sulle case, non si fa una politica di case popolari, i tempi di assegnazione sono infiniti, e spesso sono venute fuori denunce di assegnazioni clientelari.
I servizi sociali fanno elemosine, con metodi e criteri che offendono la dignità delle persone.
In tutto questo le donne, spesso sole con figli a carico, sono le più colpite. Ed è legittimo che non si rassegnano e esprimono la loro rabbia. 

CHIEDIAMO L'IMMEDIATA LIBERTA' PER LA DONNA ARRESTATA!
E risposte vere per creare posti di lavoro e case.

MA NOI DICIAMO ALLE DONNE, ALLE DISOCCUPATE, ALLE DONNE SENZA CASA. 

"Che ti lamenti? Prendi lu bastone e tira fuori li denti" - dice una canzone. 
Occorre la lotta, occorre unirci. Non disperarsi. 
Se i Disoccupati Organizzati fossero in tanti, allora il lavoro si potrebbe conquistare, come è già avvenuto, in parte, in passato. 
Chi lotta da sola, chi si dispera, perde (e viene pure arrestata)
Chi lotta con gli altri, può vincere.

Le DISOCCUPATE ORGANIZZATE Slai cobas sc - Taranto

Non è obbligatorio lavorare nei giorni festivi infrasettimanali!...

Rifiuta di lavorare in un giorno festivo: la Corte di Cassazione le dà ragione

Accolto il ricorso di una commessa della Loro Piana di Romagnano Sesia che era stata multata per non essersi presentata in negozio il 6 gennaio. Per la Corte il lavoratore non può essere obbligato a prestare servizio nelle festività infrasettimanali Il datore di lavoro non può costringere un dipendente a lavorare in una giornata festiva infrasettimanale ed è illegittima la sanzione disciplinare che punisce il suo rifiuto. Lo ha stabilito la Cassazione accogliendo il ricorso di un'addetta alle vendite della Loro Piana di Romagnano Sesia, multata nel 2004 per non essersi presentata al lavoro il giorno dell'Epifania. La Corte, confermando peraltro i pronunciamenti del tribunale di Vercelli e della Corte d'appello di Torino, ha stabilito che il lavoratore può prestare servizio durante le festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze religiose o civili soltanto se c'è accordo con il datore di lavoro, e non può essere obbligato. La Loro Piana, invece, aveva chiesto ai dipendenti la disponibilità a lavorare nel punto vendita nelle giornate di Santo Stefano, 8 dicembre, 25 aprile e 1° maggio: nel caso contestato l'azienda aveva unilateralmente trasformato la festività in giornata lavorativa. Nella sua sentenza, emessa lo scorso agosto, la Cassazione sottolinea che solo per il personale dipendente di istituzioni sanitarie pubbliche o private sussiste l’obbligo della prestazione lavorativa durante le festività per esigenze di servizio e su richiesta datoriale. I giudici, in conclusione, hanno anche condannato l'azienda al pagamento delle spese processuali.
«L’importanza di questa sentenza - commenta la responsabile dell'Ufficio vertenze della Cgil di Vercelli, Barbara Grazioli, che ha assistito la lavoratrice - risiede nel principio secondo il quale il lavoro festivo infrasettimanale non può essere imposto dall'azienda senza il consenso del lavoratore e nel riconoscere che il riposo per le festività, così come il riposo domenicale, non hanno una semplice funzione di ristoro bensì di un’importante fruizione di tempo libero qualificato. I tempi di conciliazione tra casa, lavoro e famiglia, che caratterizzano e scandiscono la quotidianità soprattutto delle donne lavoratrici, hanno un valore assoluto che necessariamente deve essere sottratto da quella logica di ‘consumo’ che permea la nostra attuale società».

Ma la domenica? Quella ci tocca ancora? Non è infrasettimanale!

Settembre andiamo, è tempo di lottare!


La Lotta Paga - Euro 100.000,00 a Mariana dall’esercito Usa

Mariana, la ragazza rumena di 29 anni,  brutalmente aggredita e seviziata a Vicenza quando era incinta al sesto mese di gravidanza,  da due  paracadutisti dell’esercito degli Stati Uniti,  nella notte fra il 14 e il 15 luglio 2014 ( la notte che i mass media hanno chiamato la notte da “Arancia Meccanica”) è stata risarcita,per danno biologico, da parte dell' esercito statunitense con una prima tranche di € 100.000,00.
Dopo aver ricevuto questa prima somma, Mariana con il suo bambino, è ritornata, come desiderava da tempo, al suo Paese, per raggiungere la sua famiglia ed il suo primogenito.
Per Mariana, a fianco della difesa legale, si era attivata una mobilitazione di solidarietà partita soprattutto dal Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute di Pordenone e dalle Donne in lotta di No Austerity Vicenza, donne che ben presto erano riuscite a  coinvolgere diverse altre associazioni vicentine, oltre a numerose donne e uomini che hanno aderito singolarmente.
Sit-in, volantinaggi, raccolta firme, che hanno travalicato i confini cittadini e che hanno impedito che il silenzio su questo grave e, purtroppo non isolato caso, scendesse l’omertà.
Nessuna somma di denaro, per quanto cospicua, potrà mai risarcire l’orribile esperienza patita da Mariana e dal suo bambino, nondimeno è importante sottolineare come l’azione legale di due donne, le avvocate di Mariana, la caparbietà di Mariana nel cercare di ottenere giustizia e la sua fermezza durante gli interrogatori, la solidarietà dei comitati cittadini che hanno contribuito a creare una rete di appoggio nei confronti di Mariana e di riportare alla luce l’orrore della guerra e della presenza di basi militari in città, sono stati tutti tasselli importanti di un mosaico che ha portato a questa sentenza “storica”.

Donne in lotta No Austerity Vicenza


www.coordinamentonoausterity.org