11/08/15

Facebook chiude il gruppo delle donne-lavoratrici della Coop

Di Francesco Iacovone

Facebook, la piattaforma sociale di Mark Zuckerberg, è inflessibile e le cassiere da oggi hanno un motivo in più per sentirsi sole. Con poche e semplici parole, Donna Coop e le sue colleghe determinate e “terribilmente incazzate”, erano riuscite nell’intento di evidenziare tutte le contraddizioni di uno degli spot pubblicitari più azzeccati degli ultimi anni, quello di Luciana Littizzetto, allora testimonial Coop.
In realtà i social media, a mio avviso, amplificano di per sé quello stato di solitudine che viviamo tutti noi, illudendoci del contrario. Ma Donna Coop era divenuta un mezzo per veicolare informazioni tra le lavoratrici del settore, un profilo che aveva accresciuto la sua “autorevolezza” con il tempo. Purtroppo Facebook non fa sconti a nessuno e non vede oltre il rigido regolamento, non si domanda il perché di tale “nome”.
Donna Coop è un avatar, usato inizialmente da una delle autrici della lettera scritta da un manipolo di donne, determinate a portare a galla la realtà ben diversa dall’ambiente “accattivante e simpatico” descritto negli spot della Coop, interpretati dalla “Lucianina” nazional-popolare.
Quell’avatar è stato usato da altre cassiere della Coop, da altre delegate che si sono alternate al PC e ha permesso la creazione del gruppo facebook L’insostenibile solitudine della cassiera, nato da un post e divenuto luogo di scambio di chi vive la solitudine di un centro commerciale.
Quell’account ora è bloccato e forse lo resterà. Caro Facebook, caro Mark Zuckerberg, dietro quell’avatar si nascondeva chi non ha diritto di parola e di critica,  chi deve lavorare per quattro soldi ed in silenzio, pena il licenziamento… perché si sa che se un lavoratore parla viene licenziato.
A te, caro ragazzo americano che hai fatto una fortuna, dedico la lettera scritta da Donna Coop, da tante Donna Coop che da oggi, grazie alla tua Policy, hanno una voce in meno per gridare il loro disagio:
Cara Luciana, lo sai cosa si nasconde dietro il sorriso di una cassiera che ti chiede di quante buste hai bisogno? Una busta paga che non arriva a 700 euro mensili dopo aver lavorato sei giorni su sette comprese tutte le domeniche del mese. Le nostre famiglie fanno una grande fatica a tirare avanti e in questi tempi di crisi noi ci siamo abituate ad accontentarci anche di questi pochi soldi che portiamo a casa. Abbiamo un’alternativa secondo te? Nei tuoi spot spiritosi descrivi la Coop come un mondo accattivante e un ambiente simpatico dove noi, quelle che la mandano avanti, non ci siamo mai. Sembra tutto così attrattivo e sereno che parlarti della nostra sofferenza quotidiana rischia di sporcare quella bella fotografia che tu racconti tutti i giorni. Ma in questa storia noi ci siamo, eccome se ci siamo, e non siamo contente. Si guadagna poco e si lavora tanto. Ma non finisce qui. Noi donne siamo la grande maggioranza di chi lavora in Coop, siamo circa l’80%. Prova a chiedere quante sono le dirigenti donna dell’azienda e capirai qual è la nostra condizione. A comandare sono tutti uomini e non vige certo lo spirito cooperativo. Ti facciamo un esempio: per andare in bagno bisogna chiedere il permesso e siccome il personale è sempre poco possiamo anche aspettare ore prima di poter andare. Il lavoro precario è una condizione molto diffusa alla Coop e può capitare di essere mandate a casa anche dopo 10 anni di attività più o meno ininterrotta. Viviamo in condizioni di quotidiana ricattabilità, sempre con la paura di perdere il posto e perciò sempre in condizioni di dover accettare tutte le decisioni che continuamente vengono prese sulla nostra pelle. Prendi il caso dei turni: te li possono cambiare anche all’ultimo momento con una semplice telefonata e tu devi inghiottire. E chi se ne frega se la famiglia va a rotoli, gli affetti passano all’ultimo posto e i figli non riesci più a gestirli. Denunciare, protestare o anche solo discutere decisioni che ti riguardano non è affatto facile nel nostro ambiente. Ci è capitato di essere costrette a subire in silenzio finanche le molestie da parte dei capi dell’altro sesso per salvare il posto o non veder peggiorare la nostra situazione. Tutte queste cose tu probabilmente non le sai, come non le sanno le migliaia di clienti dei negozi Coop in tutta Italia. Non te le hanno fatte vedere né te le hanno raccontate. Ed anche a noi ci impediscono di parlarne con il ricatto che se colpiamo l’immagine della Coop rompiamo il rapporto di fiducia che ci lega per contratto e possiamo essere licenziate. Ma noi non vogliamo colpire il marchio e l’immagine della Coop, vogliamo solo uscire dall’invisibilità e ricordare a te e a tutti che ci siamo anche noi. Noi siamo la Coop, e questo non è uno spot. Siamo donne lavoratrici e madri che facciamo la Coop tutti i giorni. Siamo sorridenti alla cassa ma anche terribilmente incazzate. Abbiamo paura ma sappiamo che mettendoci insieme possiamo essere più forti e per questo ci siamo organizzate. La Coop è il nostro posto di lavoro, non può essere la nostra prigione. Crediamo nella libertà e nella dignità delle persone. Cara Luciana ci auguriamo che queste parole ti raggiungano e ti facciano pensare. Ci piacerebbe incontrarti e proporti un altro spot in difesa delle donne e per la dignità del lavoro. Con simpatia, un gruppo di lavoratrici Coop

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