27/08/14

Governi, Stati che odiano le donne.

Dopo l'attacco al diritto d'aborto il governo spagnolo usa i "luoghi comuni" più beceri in caso di violenze sessuali che colpevolizzano le donne, se la sono cercata se hanno subito violenza.  Le donne devono stare a casa, nascoste secondo i suggerimenti del ministero dell' Interno dopo due gravi episodi di stupri di gruppo che si sono verificati in Spagna, spandendo a piene mani concezioni maschiliste, contro le donne
mfpr- Milano

Spagna, consigli antistupro del governo: “Fischietti, tende chiuse e luci accese”

Pochi giorni dopo le violenze di gruppo avvenute a Malaga e Gandia, il ministero dell'Interno pubblica alcuni controversi suggerimenti rivolti alle donne. Allarme di politici e associazioni femminili. "Così si torna a dare colpa alle potenziali vittime"
di Silvia Ragusa
La paura costa meno dell’educazione. Almeno questo è quello che si evince dal sito del Ministero degli Interni di Madrid, che da qualche giorno offre una serie di controversi consigli contro la violenza sulle donne. Tutte dirette esclusivamente al genere femminile. “Acquistare un fischietto per spaventare il delinquente” o “chiudere le tende per evitare sguardi indiscreti” sono solo due delle nove eccentriche raccomandazioni che il sito ufficiale del governo iberico propone alle donne per difendersi dai molestatori. Tutte sulla stessa scia: meglio nascondersi e non dare nell’occhio.
Consigli che non sono certo passati inosservati sui social network e che hanno allertato blogassociazioni femminili. Diverse deputate del partito socialista hanno accusato il dipartimento diretto dal ministro Jorge Fernández Díaz di voler colpevolizzare le donne: “Non c’è maggior pericolo che un governo di incompetenti: chiudere le tende per evitare di essere violentate, dice il Ministero degli Interni”. Così ha twittato ad esempio l’ex segretaria di Stato delle Pari opportunità Soledad Murillo. Anche Puri Cusapié, dell’esecutivo del Psoe, si è mostrata critica: “Si ritorna a dare la colpa della violenza alle donne. Mi ha ricordato la famosa ‘sentenza minigonna’ (quando nel 1989 si giustificò un’aggressione sessuale da parte di un datore di lavoro nei confronti di una dipendente di 17 anni per gli indumenti portati dalla vittima, ndr). Anche l’eurodeputata spagnola Elena Valenciano ha diffuso una nota, denunciando i consigli del ministero degli Interni sulla prevenzione alla violenza di genere in quanto “alimentano il mostro del machismo dominante”.

E la formazione di Izquierda Unida ha tacciato la lista come “indegna e intollerabile” e ne ha chiesto la rimozione. I nove punti pubblicati online dal governo iberico arrivano dopo due stupri di gruppo che hanno scosso l’opinione pubblica spagnola, avvenuti lo scorso fine settimana: il primo a Malaga (una giovane di 20 anni violentata da cinque ragazzi), il secondo a Gandia (una diciannovenne vittima di quattro uomini). Se il ministero degli Interni voleva dimostrare la propria vicinanza alle vittime di violenza, non ha però azzeccato neppure uno di queste raccomandazioni: “non passeggiare per vie solitarie”; “evitare di notte le fermate degli autobus”; “guardare attorno alla propria auto prima di utilizzarla o di parcheggiare”; “non mostrare il proprio nome per intero nella buca delle lettera se si vive sole”; “non entrare in ascensore se c’è un estraneo”; “accendere la luce in più stanze per far vedere che in casa vivono più persone”.
Ma dopo l’indignazione collettiva sui social network e le dure reazioni politiche e sociali, fonti del Ministero hanno annunciato all’agenzia di stampa iberica che i consigli antiviolenza verranno modificati. Resta solo da capire in che modo.

La cicatrice non andrà via, dice la giovane donna che ha fatto ripartire la discussione e le manifestazioni sull’aborto in Irlanda

Per le migranti, le povere dei paesi in cui l'aborto è vietato repressione, rischio della vita, doppia, tripla oppressione, nessuna possibilità di scelta 


Mentre arrivano le prime foto da Dublino, dove hanno manifestato più di duemila persone, parla la ragazza che ha subito prima uno stupro da parte di un uomo e  poi violenze da parte delle istituzioni. Dopo due ricoveri, il tentato suicidio, l’alimentazione forzosa, l’aborto negato,  e un cesareo non voluto, la ragazza dice:  “Mi hanno detto che non potevo abortire. Ho risposto: allora lasciatemi morire. Non voglio più vivere in questo mondo. … La cicatrice non potrà mai andare via … sarà sempre un ricordo. A volte, quando sento il dolore … sento di essere stata abbandonata da tutti … io voglio solo che sia fatta giustizia. Per me questa è un’ingiustizia.”

Qui estratti dell’intervista raccolta da Kitty Holland di Irish Time.

La giornalista racconta  in un video la storia che ha raccolto e analizza il caso.

In questo articolo de “il Post” si trovano approfondimenti e link. Di seguito un breve estratto.

L’iter per ottenere l’autorizzazione “è molto difficile, ai limiti del surreale: ogni donna che manifesti intenzioni suicide in gravidanza deve essere esaminata da una commissione di 3 medici, e l’aborto può essere consentito se tutti danno un parere favorevole. In caso contrario la donna può presentare ricorso e venire esaminata da una seconda commissione, dovendo dunque sottoporsi, alla fine, a ben sette giudizi (tutto questo sempre mentre dice di volersi suicidare, e magari ci prova anche). …
Dopo l’approvazione della legge Johanna Westeson, direttrice regionale per l’Europa presso il “Center for Reproductive Rights”, aveva parlato di «una violazione assoluta delle norme internazionali sui diritti umani e sul diritto delle donne alla salute e alla dignità»; Maria Favier, portavoce di Doctors for choice, associazione che riunisce diversi professionisti che si battono per il diritto delle donne, commentando quest’ultimo caso ha detto: «Non sarebbe mai successo in un qualsiasi altro paese civile», aggiungendo che l’episodio «dimostra che le nuove leggi irlandesi non sono adeguate». Máiréad Enright, docente di diritto all’Università di Kent e membro di un’associazione irlandese di avvocati, ha anche detto che la donna in questione non aveva una buona padronanza della lingua inglese, che probabilmente non era stata informata a sufficienza dei suoi diritti e che la sua situazione era complicata dal fatto che per recarsi nel Regno Unito avrebbe avuto comunque bisogno di un permesso speciale, concludendo quindi che l’attuale legge irlandese sull’aborto rende molto difficile e discriminante la condizione di alcune donne che già si trovano in una situazione di vulnerabilità. Tramite la sua associazione, Máiréad Enright ha presentato un documento alla Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite.”

20/08/14

Irlanda. La violenza dopo la violenza...

Irlanda. La violenza dopo la violenza: le impediscono di interrompere la gravidanza, la obbligano a nutrirsi, la costringono al parto cesareo.

Ecco cosa succede in Irlanda, dove le donne non possono decidere del  loro corpo.
Violenza su violenza: perché l’Irlanda costringe una donna che fa lo sciopero della fame  a partorire il figlio del suo stupratore? Come spettatrice di questo caso, ciò che mi colpisce è il traffico costante di corpi estranei attraverso il corpo di questa donna, imponendo la volontà di altri.
Quando le donne in Irlanda potranno dire “no”? Oggi scopriamo che la risposta è “mai”, no davvero – no, se un uomo ha altre idee, se lo Stato decide di imporre l’uso di un corpo di donna. La storia riportata nel Sunday Times di oggi è un catalogo di violazioni. In primo luogo, una donna è stata violentata (violenza numero uno). Cercò di abortire ma a quanto pare i medici le imperdirono di ottenere il trattamento di cui aveva bisogno (violenza numero due);   anche se molte donne irlandesi viaggiano verso il Regno Unito in questa situazione,  la donna in questo caso non avrebbe potuto perché era una cittadina straniera con incerto status di immigrazione, e il suo inglese limitato probabilmente ha aggravato la sua vulnerabilità. Disperata, in questa fase, ha espresso l’intenzione suicida ed ha continuato sciopero della fame e della sete:  la Health Service Executive (HSE) ha ottenuto un ordine del tribunale sulla base dell’atto “Protezione della vita durante la gravidanza Act 2013″  per la reidratazione forzata della donna (violenza numero tre). Infine, i primi di agosto, un certificato è stato rilasciato consentendo una procedura medica da effettuare sulla donna:  il giorno dopo, il bambino è stato partorito con un cesareo (violenza numero quattro), a 24-26 settimane di gestazione, che è la stessa cuspide di vitalità. Il bambino continua a ricevere cure mediche. Non è stata segnalata la condizione della donna. Il carattere provvisorio del controllo sul proprio corpo è un fatto che le donne in Irlanda devono negoziare giorno dopo giorno, una resistenza a disagi che possono essere maggiori o minori secondo a quali risorse bisogna resistere e a quanto urgente è la loro condizione. Per alcune, è una questione di shopping in giro per trovare un medico che non insista sul controllo di cosa il vostro marito pensa della vostra routine contraccettiva;  per altre, si tratta di fare un biglietto aereo per una clinica di Londra per ottenere l’aborto che non si può fare a casa; per alcune, si tratta di mangiare fagioli al forno per cena mentre si conservano i soldi per quel biglietto; per Savita Halappanavar nel 2012, è stata la morte, quando i medici si sono rifiutati di interrompere la sua gravidanza, anche se lei stava avendo un aborto spontaneo che ha portato ad una infezione fatale.
In effetti, la norma sulla protezione della vita durante la gravidanza è stata introdotta in seguito alla morte di Halappanavar, e all’orrore della popolazione per l’evidente mancanza di riguardo per la salute e la sopravvivenza di una donna. Vi è, tuttavia, un grave problema in questa norma: in conformità con la legge sull’Ottavo emendamento della Costituzione del 1983, la vita del feto è considerato una “vita umana” tanto quanto quella della donna in stato di gravidanza e sono concessi uguali diritti. Nella sezione sulla interruzione per le donne suicide, nella legge 2013 si legge: (1) È lecito eseguire una procedura medica per una donna incinta conformemente alla presente sezione nel corso della quale, o come risultato di cui, una vita umana nascente è finita dove – (a) soggetto alla sezione 19, tre medici, dopo aver esaminato la donna in stato di gravidanza, hanno certificato congiuntamente in buona fede che- (i) vi è una reale e sostanziale rischio di perdita della vita della donna per mezzo del suicidio, e (ii) a loro avviso ragionevole (essendo un parere formato in buona fede che tenga conto della necessità di preservare la vita umana non ancora nata, per quanto possibile), tale rischio può essere evitato solo eseguendo la procedura medica”. In altre parole, quello che è successo alla donna nel caso di oggi non è solo assolutamente barbaro, sembra anche essere stato assolutamente di competenza della legge: se  “la necessità di preservare la vita umana non ancora nata, per quanto possibile”  è un obbligo di legge, perché ignorare le suppliche di una donna per l’interruzione e forzarla con l’alimentazione liquida, invece? Perché non estrarre chirurgicamente  il feto non appena ha il potenziale di vita indipendente? Il feto è stato anche fornito con un proprio team legale separato dai giudici irlandesi, in una illustrazione drammatica della bagarre per il controllo del corpo femminile che si svolge durante la gravidanza. Lei diventa solo una risorsa requisita dallo Stato in nome di quella “vita nascente”, che ha inspiegabilmente molto più valore che la vita ex utero della donna traumatizzata. E che trauma. Come spettatrice di questo caso, ciò che mi colpisce è il traffico costante di corpi estranei attraverso il corpo di questa donna, che impongono la volontà di altri. Il pene dello stupratore introdotto in lei con la violenza. Il sondino nasogastrico bloccato nella sua narice e giù contro la sua gola che resiste. Il bisturi dei medici che la tagliano, le mani nel suo ventre, l’orrore in movimento di un altro corpo all’interno della vostra carne trattenuta. L’orrore incredibile di essere costretta a offrire la vita al figlio dell’uomo dal quale si è stata violentata. E il terribile silenzio di non partecipazione, una donna senza una lingua che possa essere udita. Questa è la violenza dello stato irlandese impone alle donne. Questo è il motivo per cui le donne irlandesi stanno facendo una campagna per “Abrogare l’Ottavo”: perché le donne sanno che siamo esseri umani, e nessuno di noi dovrebbe essere costretta a vivere sotto una legge che dice il contrario. http://www.newstatesman.com/politics/2014/08/violation-after-violation-why-did-ireland-force-woman-hunger-strike-bear-her
Nella foto:  le proteste per la morte di Savita Halappanavar nel 2012.  Foto: Getty

Irlanda: una donna costretta a partorire Dopo che le è stato negato un aborto, una donna è stata costretta a partorire con taglio cesareo Domenica scorsa, una giovane donna è stata costretta a partorire, giuridicamente, dal diritto irlandese. Nelle prime 8 settimane di gravidanza, la donna aveva chiesto di abortire sulla base di uno stato di fragilità psicologica, con tendenza al suicidio. Dopo esserle stato negato l’aborto, lei ha minacciato lo sciopero della fame per protestare contro la decisione. Le autorità sanitarie locali hanno ottenuto un ordine del tribunale per farla partorire prematuramente – a 25 settimane – per garantire la sua salute. Il bambino è stato immediatamente preso e messo in cura. Questo nuovo caso non è un caso isolato in Irlanda, dove l’aborto è vietato dopo il referendum del 1983 sancito dalla Costituzione. Solo un “rischio reale e sostanziale” per la donna in stato di gravidanza, che deve essere certificato da medici, permette l’aborto secondo la “Legge sulla protezione della vita durante la gravidanza”, firmata dal presidente. L’aborto resta vietato, in caso di “semplice rischio” per la salute delle donne, in circostanze di stupro, incesto, ma anche se il feto ha una malformazione grave. Questa decisione ha suscitato le reazioni di coloro che già criticavano la mancanza di considerazione delle donne nella legge. Questo caso mette in luce anche le istruzioni mediche fornite ai medici irlandesi: la donna deve avere l’approvazione di sette esperti prima di procedere ad un aborto; la Commissione per i Diritti Umani ha descritto tutto ciò come “ulteriore tortura mentale.” Mairead Enright, un avvocato e docente in materia di diritti umani presso l’Università di Kent, ha detto che a molte donne di origine immigrata è stato spesso negato l’accesso ai loro diritti, compreso il diritto di viaggiare, nel Regno Unito, per esempio, dove l’aborto è legale in determinate condizioni, e di solito ricevono poche informazioni circa la portata dei loro diritti. “ “Questa sentenza rende molte donne vulnerabili in Irlanda, come migliaia di altre donne nelle comunità tradizionalmente svantaggiate,” ha detto. Avvocati in lotta per l’aborto hanno presentato alla Commissione sulla Condizione delle Donne delle Nazioni Unite un rapporto con i “grandi difetti” nella legge sull’aborto irlandese. Il documento legale osserva che “nelle circostanze limitate in cui è consentito l’aborto, è responsabilità dei medici e non le donne ad essere custodi del diritto all’aborto.” Se il comitato delle Nazioni Unite accetterà le argomentazioni del consiglio, sarà la seconda volta quest’anno che il divieto di aborto in Irlanda sarà sfidato dalle Nazioni Unite. http://www.i24news.tv/fr/actu/international/europe/40698-140818-irlande-une-femme-forcee-de-donner-a-la-vie

Donne in Iraq... Carne da macello o puntello per una guerra rivoluzionaria di genere e classe?

Come femministe proletarie rivoluzionarie, siamo con le masse e la resistenza kurda contro fascisti islamici e l'intervento dell'imperialismo. 

Da Proletari comunisti

Proletari comunisti esprime la sua massima opposizione all'intervento dell'imperialismo italiano in Iraq che il governo Renzi, tramite le due servette Mogherini e Pinotti, si appresta a chiedere al parlamento il 20 agosto.
L'intervento italiano si traveste di “umanitario e filo cristiano” ma è in realtà al servizio dell'imperialismo americano che rimette quindi tutti i suoi due piedi in Iraq dopo la pantomima del ritiro.
Quello che accade in Iraq è innanzitutto piena responsabilità dell'imperialismo americano che negli anni del suo intervento ha protetto e armato le forze fasciste e islamiche, di cui l'Isis è l'ultima paranoica rappresentazione. L'imperialismo americano ha armato e sostenuto finora le forze fasciste islamiche in Siria e ovunque fossero funzionali ai suoi interessi – non dimentichiamo che la stessa Al Qaeda di Osama Bin Laden è stata per anni creatura dell'imperialismo americano. E' l'imperialismo americano che con il suo intervento devastante ha scoperchiato la fogna da cui escono tutte le forze feudal fasciste che insanguinano l'area.
In seno all'imperialismo americano un ruolo importante lo hanno giocato i paesi ad esso collegati, da Israele alla sempre più presente e aggressiva Turchia che cerca in funzione anti siriana e anti irakena di mettere le mani sull'intera area, sotto la guida della nuova classe dominante borghese islamista di Erdogan.
In questo scenario drammatico l'Isis porta a compimento tutte le concezioni e la pratiche dell'integralismo islamico di natura tribal genocida, che vedono nell'attacco feroce alle donne la punta di iceberg.
L'offensiva dell'Isis ha trovato una reazione nelle forze più progressiste esistenti nella zona, rappresentate dalle masse del Kurdistan che nel rispondere all'Isis stanno ritrovando unità e gli aspetti migliori della loro storia.
Sosteniamo tutte le forze comuniste, rivoluzionarie, antimperialiste che si stanno schierando in tutta l'area, dalla Turchia,alla Siria, all'Iraq, ecc.
Il nucleo forte di questa resistenza anti integralista è comunque sempre rappresentata dal PKK, uscito dalla deriva conciliatrice dell'ultima fase di Ocalan. Nel movimento kurdo ancoraggio della resistenza i venduti dirigenti, come Barzani, hanno fatto come sempre la loro sporca parte prima promettendo la difesa delle masse kurde e yazide, poi lasciandole in balia disarmate dell'orda reazionaria Isis.

Proletari comunisti, come tutto il movimento comunista internazionale, esprima la sua solidarietà e sostegno alle masse kurde, alle donne kurde progressiste e antifeudali che stanno opponendo resistenza. Ma ora come sempre noi riteniamo che la resistenza popolare debba essere autonoma dall'imperialismo, da tutti i governi imperialisti che la usano come pedina nell'eterna contesa geostrategica che si sviluppa nell'area.
L'intervento imperialista, sia esso americano come europeo e italiano, non è mai stato parte della soluzione ma parte del problema. L'intervento imperialista non ha mai fermato i genocidi ma ne ha alimentato la spirale. Gli argomenti dell'imperialismo e dei loro governi e del nostro governo, insieme a quelli del super ipocrita papa Bergoglio, sono al servizio non della pace e della salvezza delle popolazioni ma solo dei profitti e degli interessi dei padroni, del militarismo dell'industria bellica, del posizionamento degli stati imperialisti nell'area.
Siamo quindi perchè tutte le forze antimperialiste, democratiche e progressiste dicano NO in tutte le sedi all'intervento imperialista e all'intervento italiano.
Siamo invece per uno sviluppo di una catena solidale internazionale e internazionalista con le masse kurde e le masse vittime dello sterminio settario-intergralista.
Questa situazione si aggiunge all'aggressione genocida dello Stato di Israele verso le masse palestinesi a Gaza, per cui i governi imperialisti e papa Bergoglio nulla hanno fatto e anzi hanno appoggiato, e continuano a farlo, l'aggressione di Israele.

FUORI GLI IMPERIALISTI DA TUTTO ILMEDIO ORIENTE
FRONTE POPOLARE E GUERRA POPOLARE CONTRO L'IMPERIALISMO, LE BORGHESIE REAZIONARIE, LE FORZE FEUDAL FASCISTE, tutte al servizio della rapina e dello sfruttamento, dell'oppressione e della barbarie.

Proletari comunisti - PCm Italia


Marines, jihadisti e stupri di guerra

Il dispiego militare Usa in Medio Oriente ha aumentato la richiesta di schiave sessuali e il commercio di donne nella regione. Mentre l’Isis inaugura la guerra santa del sesso.

di Nazanín Armanian*

Le donne irachene, siano esse musulmane, cristiane, ebree o atee, non avevamo mai sentito il termine Yihad Al-Nikah, “Guerra Santa del sesso”. E’ l’ “appello” dello Stato islamico dell’Iraq e de Levante (Isis) alle donne non sposate delle città conquiste ad offrirsi “volontariamente” ai ribelli per trasformarsi in schiave sessuali attraverso matrimoni a tempo determinato in cambio di generi di prima necessità. Un eufemismo per non dire prostituzione, proibita dall’Islam.
Adducendo che stanno rischiando la vita per far avanzare lo Stato islamico, i soldati dell’Isis pretendono dagli uomini musulmani che hanno più di una moglie di consegnargliene qualcuna, come forma di ricompensa, altrimenti saranno duramente puniti. E’ l’Onu a denunciarlo dopo il suicido di quattro giovani donne aggredite sessualmente con questi falsi e forzosi matrimoni.
La vita del popolo iracheno, soprattutto delle donne, si sta deteriorando giorno dopo giorno: tre decenni di guerre, passando per una dittatura semilaica (sto ancora cercando sette validi motivi per cui gli Usa hanno abbattuto Saddam Hussein) a una teocrazia settaria e totalitaria installata dagli Usa che ha messo su una apartheid di genere contro le donne, collocandole allo stesso livello dei minori e dei minorati psichici, come persone bisognose a vita di un tutor maschile. E se non bastasse è stata anche legalizzata la pedofilia, abbassando l’età minima per il matrimonio da 18 a 9 anni. Bambine spose per forza.
E non è l’unico incubo che devono affrontare, c’è pure l’invasione di bande armate spietate composte da migliaia di mercenari afghani, iracheni, ceceni, siriani, libici e europei che diffondono il terrore, e le donne sono le prime vittime. Una donna a Mosul è stata flagellata solo perché invece che il velo Niqab (che lascia scoperti solo gli occhi) portava un semplice scialle. Le minacce di punizioni medievali alle disobbedienti, lapidazione e crocifissione comprese, hanno creato un clima di terrore in una popolazione femminile dove sanguinano ancora le ferite, se non fisiche psicologiche, per le violenze dei militari Usa.
La punta di un iceberg
guerra stupriVi ricordate il film Redacted di Brian De Palma del 2007? Raccontava una storia vera di un massacro, uno dei tanti, di cui furono protagonisti soldati nordamericani. “Mentre stavamo giocando a carte e bevendo whisky ci venne l’idea di entrare in una casa irachena, violentare una donna e uccidere l’intera famiglia”, confessò uno dei tre marines dell’esercito Usa che prima rinchiusero la coppia e la figlia di 6 anni in una stanza della casa, stuprarono più volte a turno la figlia più grande di 14 anni, Abir Kasim Hamza, poi uccisero davanti a lei genitori e sorellina e tornarono ancora a violentarla prima di spararle un colpo alla testa. Non soddisfatti cosparsero il corpo di Abir di benzina, le diedero fuoco e con lei prese fuoco tutta la casa e i corpi dei suoi. A massacro ultimato i soldati andarono a mangiare pollo arrosto. Avevano tra i 19 e i 23 anni e come racconta nel suo film/documentario De Palma, i superiori redassero (da qui il titolo Redacted) una informativa falsa sul massacro. La verità venne comunque alla luce e ciò nonostante Barack Obaba ha chiesto e ottenuto l’immunità per quei soldati. Deve pur difendere i suoi effettivi dislocati in ogni parte del mondo. E questa è solo la punta di un iceberg, quel poco che si viene a sapere e si può provare.
La doppia direzione del contrabbando di donne
Isis violenza donneLe company private di contractors vincolate al Pentagono (un nome per tutte, la Blackwater USA, ndt), che trafficano con mano d’opera maschile a basso costo per le basi militari in Iraq, utilizzano i propri canali per fare contrabbando di donne – importazione ed esportazione, come una merce -. Reclutano donne cinesi, russe, etiopi, filippine, sudcoreane e tailandesi non musulmane dato che, al contrario che in Vietnam, in Iraq non si possono trasformare in schiave del sesso le musulmane in forma pubblica e di massa. Una volta reclutate le donne vengono inviate alle truppe Usa in Iraq, mentre le donne irachene vengono inviate ai militari in servizio nei paesi arabi del Golfo Persico. A Dubai sono reclutate centinaia di adolescenti vergini, irachene e afghane, per evitare il contagio di malattie, giovanissime donne destinate a subire orrendi abusi sessuali, fino alla morte.
Il dispiego militare Usa in Medio Oriente ha aumentato la richiesta di schiave sessuali e il commercio di donne nella regione. Le donne “importate” da altri paesi, come avviene anche in occidente, vengono ingannate da offerte di lavoro (cuoca, centralinista, donne delle pulizie). Ma il sogno diventa incubo appena arrivate in Iraq. Non potranno più andare da nessuna parte e nessuno avrà cura di loro. Se è vero che il 30% delle stesse donne militari Usa subiscono stupri durante il servizio e il 90% molestie sessuali, si può immaginare la vulnerabilità di una lavoratrice filippina. Le immagini pubblicate delle atrocità nella prigione di Abu Ghraib – tra cui le foto di stupri di gruppi a donne irachene, mostrano la coincidenza tra il profilo dei violentatori, coloro che si occupano della tratta di donne e l’industria del sesso. [...]
La guerra senza stupri è possibile?
Se domandiamo che tipo di ideologia spinga un uomo a violentare e uccidere una donna nel corso di un conflitto armato, solitamente le argomentazioni sono:
- che la donna è un bottino di guerra come gli altri beni materiali, abusi e aggressioni sono incentivi per i combattenti;
- che mettendo incinta la donna si distrugge l’identità della comunità nemica;
- che violentarle abbatte psicologicamente gli uomini nemici che resistono;
- che la guerra in sé è violare un altro territorio;  violentare le donne sconfitte fa parte del rituale dei festeggiamenti della conquista. Anche se se ne parla meno, nel rituale rientra anche lo stupro sugli uomini;
- che è un “effetto collaterale” della guerra, un atto fisico naturale di un individuo privo di controllo contro una donna “che stava lì”.
Eppure la storia ci insegna che non è sempre così. Nella forma di combattere di eserciti come quelli del Tigri per la liberazione del Tamil, il Fronte Farabundo Martì o il Pkk kurdo non è mai entrato lo strumento della violenza sessuale contro le donne nemiche. Ciò indica fino a che punto questo tipo di violenza sia una questione ideologica. Dette formazioni, ma ce ne sono altre, nei loro programmi politici annunciano il desiderio di fondare una società basata sulla giustizia sociale, l’uguaglianza e il mutuo rispetto. Mostrando che è possibile – anche se al pacifista puro potrebbe suonar strano – uccidersi l’un l’altro mantenendo la dignità della vittima.
Da una società come quella irachena, dove la donna stuprata è colpevole e non esiste il concetto di “violenza all’interno del matrimonio”, anzi da lei si esige la disponibilità sessuale assoluta per il marito, che cosa si ci si può aspettare? Il trauma emotivo, le gravi lesioni fisiche, essere messa all’indice da una società ipocrita, gravidanze non desiderate, malattie, suicidi, morte per mano dei familiari che avrebbero dovuto proteggerle e migliaia di neonati abbandonati sono il risultato di questo vile atto contro la donna.
Lo stupro nelle guerre non è solo un atto privato di violenza, ma un atto di tortura di cui è responsabile lo Stato a cui si appartiene e che fanno sì che le guerre diventino un grande affare per i mercanti di carne umana.

*Giornalista iraniana, rifugiata a Barcellona nella cui università insegna Scienze politiche, scrive su Publico.es (traduzione di Marina Zenobio)



Violenza sulle donne, “Le dita tagliate”: dal Mali all’India, giro del mondo dell’orrore

Il libro dell'antropologa Paola Tabet è un viaggio tra le pratiche di sottomissione in diversi Stati: matrimoni a 10 anni, stupri di gruppi, taglio delle dita, tizzoni ardenti e privazioni. Tutto per rendere le mogli soggiogate e obbedienti

di Stefania Prandi
Violenza sulle donne, “Le dita tagliate”: dal Mali all’India, giro del mondo dell’orrore

Ci sono bambine che vengono fatte sposare a 10 anni e che, dopo la prima notte di nozze con il marito trentenne, muoiono dissanguate. Altre subiscono stupri di gruppo perché si oppongono ad esercitare il loro “dovere di mogli”. Ce ne sono alcune a cui vengono tagliate 6 dita in omaggio ai morti della comunità: gliene restano 4, per entrambe le mani, non abbastanza per imparare a scrivere ma sufficienti per i lavori domestici. Altre ancora, considerate “ribelli”, vengono ricondotte alla disciplina con un tizzone ardente infilato tra le gambe, botte continue e privazione di acqua e cibo.
E’ un viaggio nell’orrore della violenza sulle donne quello che propone Paola Tabet nel libro Le dita tagliate. L’antropologa italiana con un background accademico fatto di ricerche sul campo, racconta le pratiche di sottomissione messe in atto dagli uomini sulle donne in diverse parti del mondo come Mali, Costa D’Avorio, Kenya, Niger, Haiti, Nuova Guinea, India, Australia. Trattamenti choc che servono per spezzare la “resistenza” delle donne, per renderle soggiogate e obbedienti, per fare in modo che si dedichino a mettere al mondo i figli, ad accudirli, a badare alla casa, senza ribellarsi. Un sistema di dominio pervasivo che risalta in maniera eclatante in certe culture non occidentali ma che è presente ovunque. I gradi, le forme, la diffusione variano, ma il meccanismo “che costringe le donne a una condizione subordinata” non cambia. Usando una categoria marxista, Tabet parla di “violenza di classe”. Secondo la studiosa, la “concentrazione quasi assoluta delle ricchezze in mano maschile” e l’endemica “dipendenza economica femminile” fanno sì che si possa considerare il modo diviso in due grandi classi: la classe degli uomini che sfrutta la classe delle donne.

L’antropologa individua nel matrimonio l’espressione istituzionalizzata dello scambio iniquo che avviene tra le due classi. Uno scambio “sessuo-economico” che prevede che le donne offrano prestazioni sessuali e lavoro riproduttivo (cioè messa al mondo dei figli e conseguente accudimento) in cambio di un compenso più o meno variabile che può comprendere mantenimento, sicurezza economica, status sociale. Una tesi forte, questa, che, come si legge nel saggio, viene rifiutata dalle donne occidentali.
L’antropologa si spinge oltre e cerca di dimostrare (come ha già fatto nel saggio La grande beffa) che se alla base del matrimonio c’è uno scambio sessuo-economico allora non si può considerare questa istituzione così diversa da altre pratiche che comprendono sempre uno scambio di denaro e sesso come, ad esempio, la prostituzione. La divisione tra “donne per bene”, cioè madri e mogli, e prostitute sarebbe dunque artificiosa e non avrebbe motivo di esistere se si considera la natura dello scambio economico che regge entrambe. Ci sono casi, secondo la studiosa, in cui la prostituzione diventa addirittura preferibile ai matrimoni retti sulla coercizione, perché si rivela un’occasione per uscire da un sistema “funzionale all’ordine sessuale dominante” che prevede che le donne seguano la retta via per “conservare la struttura familiare” e lasciare che gli uomini continuino a concentrare nelle proprie mani ricchezza e potere.

14/08/14

Dolce rivoluzione, in India le nostre lacrime di donna sono già pallottole


IN MARCIA CON I RIBELLI

Autore: Arundhati Roy
Traduzione di Giovanni Garbellini
Pagg. 208
€ 18.00
Reportage
Collana: Narratori della Fenice
In libreria dal: 1 Marzo 2012
Libro  disponibile

 
    
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«Quando avete ottocento paramilitari che marciano tre giorni nella foresta; che circondano un villaggio nella foresta, bruciandolo e stuprando le donne, cosa dovrebbero fare i poveri? Possono gli affamati fare lo sciopero della fame? Può la gente senza denaro boicottare i beni di consumo? A quale sorta di disobbedienza civile possiamo chiedergli di aderire?».

Da pop off un articolo di Franco Fracassi
 
La scrittrice ed attivista indiana Arundhati Roy, vincitrice nel 1997 del premio Man Booker per “Il Dio delle piccole cose” si è schierata apertamente dalla loro parte, dalla parte dei naxaliti, le migliaia di contadini e di popolazioni tribali che dal 1967 combattono contro l’idea di sviluppo della nuova India.

Il primo ministro indiano Narendra Modi l’ha definita «la più grande minaccia alla sicurezza interna che l’India affronta dalla sua indipendenza». Iniziata dopo la sanguinosa repressione della rivolta contadina di Naxalbari, un villaggio dello Stato indiano del Bengala Occidentale, la guerriglia comunista dei naxaliti, lungi dal mostrare la corda dopo quarantasette anni di conflitto permanente, appare più vitale che mai.

Il principale partito naxalita è il Partito comunista indiano-maoista (è considerato illegale in India). In India i maoisti hanno creato un vero e proprio corridoio rosso che attraversa il Paese da nord-est a sud-ovest, mettendosi alla testa delle lotte e rivendicazioni dei contadini e delle popolazioni tribali.
 

«I governi statali (l’India è una confederazione, ndr) hanno firmato centinaia di memorandum di accordo con le compagnie minerarie per operare sulla terra tribale. Molti di questi accordi non sono stati realizzati a causa dell’ostinazione e la flessibilità della lotta che le popolazioni più povere stanno portando avanti contro le corporation più ricche.
Ma queste corporation minerarie sono nate storicamente per vincere le loro battaglie. Dunque, semplicemente aspettano come pigri predatori… Se non sarà il Salwa Judum (un gruppo armato supportato dallo Stato dello Chattisgarh per combattere i maoisti, ndr), sarà l’esercito. Siamo di fronte alla prospettiva di una democrazia militarizzata, se ciò non è un ossimoro», ha aggiunto la Roy.

Chattisgarh, l’epicentro del conflitto. L’allarmismo del premier indiano appare pienamente giustificato dopo aver letto il rapporto annuale annuale su questa ennesima guerra dimenticata, diffuso pochi giorni fa dal Centro asiatico per i diritti umani (Achr). «Il conflitto naxalista sta crescendo. Non tanto in termini di estensione geografica, quanto di concentrazione geografica e intensità del conflitto in un unico Stato, il Chattisgarh, diventato l’epicentro degli scontri con circa la metà delle vittime», ha spiegato Suhas Chakma, direttore dell’Achr. 


Questo cambiamento rispetto al passato si spiega con l’avvio di una dissennata campagna anti-guerriglia da parte del governo statale del Chattisgarh nel sud di questa regione. La Salwa Judum, “campagna per la pace”, è iniziata nel giugno 2005, intensificandosi negli anni a venire. Le autorità l’hanno spacciata per una rivolta spontanea della popolazione locale contro i guerriglieri naxaliti. In realtà le forze armate indiane hanno costretto con la violenza le popolazioni indigene locali e i contadini poveri del posto a imbracciare le armi contro i ribelli maoisti, fomentando una sanguinosa guerra civile. «Per forzare la popolazione ad arruolarsi nelle milizie ‘spontanee’ del Salwa Judum, le forze militari terrorizzano la gente con esecuzioni extragiudiziali, torture e stupri. I villaggi e le comunità che, per non sopportare tutto questo, accettano di passare dalla parte del governo, finiscono poi nel mirino dei naxaliti. Presi tra i due fuochi, molti preferiscono fuggire. Ad oggi, nel solo distretto di Dantewara, si contano 93.740 sfollati».

Dolce rivoluzione, vorrei che le mie lacrime fossero pallottole...

Dal e nel cuore dell'imperialismo, una poesia femminista ancora attuale, dedicata a tutte le donne proletarie

Mostro (Monster)

Ascolta. Stanotte sto rallentando la morte
dentro di me.
Non voglio cominciare a elencare la lista
di stupri e bruciature e percosse e sorrisi
e malumori e rabbie e tutto il resto
che avete sbattuto sopra le donne in tutta la vostra storia
( a cui non abbiamo partecipato-anche se dio lo sa che ci abbiamo provato)
insieme ai vostri corpi pesanti, esigenti stesi sui nostri
mentre il vostro sperma orgoglioso, la sua liquida arroganza,
soffocava i nostri pori-
stanotte no.
Sono stanca di registrare il vostro trionfo e la nostra oppressione,
proprio stanotte che i due uomini che amo-
uno quello con cui vivo, il padre di mio figlio, e con il quale
esigo di vivere la mia lotta, vitale e mortale insieme-
stanotte che voi due sedete al tavolo di cucina recitando
un elaborato rituale di ciò che voi credete lotta
ma non inganna nessuno. La vostra comune oppressione, il dolore,
e l'amore come "effemministi" in un modo patriarcale che brucia,
non riescono ancora a liberarvi dai giochi di potere della virilità.

Il bambino dorme nell'altra stanza. Bianco. Maschio. Americano.
Potenzialmente la più potente e mortale creatura
della specie.
I capelli, dio mio, si arricciolano in teneri virgulti umidi
per il sudore del suo sonno estivo. Non è ancora, e mai lo sarà
se ci riesco, "un vero uomo".
Ma due giorni fa vedendomi nuda per la cinquecentesima volta
in meno di due anni di vita, improvvisamente
ha pensato alla creatura pelosa che sbadiglia
nel suo programma preferito in televisione:
ha connesso quell'immagine con i miei genitali; ha riso
e detto, "Mostro".

Voglio la rivoluzione delle donne come si vuole un amante.
La desidero : voglio così tanto questa libertà.
la fine della lotta della paura e delle bugie
che tutti respiriamo, che potrei morire
nell'appassionata pronuncia di quel desiderio.
Per una sola volta in questa sola vita vorrei danzare
tutta sola e nuda su un picco roccioso sotto i cipressi
senza paura di dove metto i piedi.
Intravedere cosa avrei potuto essere,
e non diventerò mai, mai, se non avessi dovuto"sprecare la vita"
a lottare per ciò che la mancanza di libertà mi impedisce persino
di intravedere.
Chi detesta la violenza rifiuta di ammettere
che la sta già vivendo, e la fa.
Chi si abbandona alla" soluzione privata",
l'"odissea privata", "la crescita personale",
è il più conformista di tutti,
perché ammettere la sofferenza è cominciare
a creare la libertà.
Chi ha paura di morire rifiuta di ammettere che è già morto.
Bene, io sto morendo stanotte soffocata dalla disperazione,
dal peso morto della lotta
anche contro quei pochi uomini che amo
e di cui mi importa sempre meno
man mano che mi uccidono.

Mi capisci? Morire. Impazzire.
Davvero. Senza metafore.
delirare le reti sottili dell'arcobaleno
come ragnatele dappertutto sulla pelle
e sognare sempre più spesso quando riesco a dormire
di essere uccisa o di uccidere.
Dolce rivoluzione come vorrei che queste lacrime di donna
che mi scendono giù per la mia faccia in silenzio proprio ora fossero pallottole;
ogni parola che scrivo, ogni tasto della macchina da scrivere
una pallottola per uccidere quel qualcosa nell'uomo
che ha costruito questo impero , colonizzato il mio stesso corpo,
e poi chiamato"Mostro" la sua colonia.


Sono una "che odia gli uomini" hanno detto.
Non ho il tempo e la pazienza di dire di nuovo perché e come
non odio gli uomini ma ciò che gli uomini fanno in questa cultura,
e come il sessismo, il potere e la competizione
è il nemico _ non le persone, ma il fatto che gli uomini hanno creato
questo sistema e lo conservano e ne traggono profitti concreti.
Parole e retorica che immediatamente
sgorgano dalle mie vene appena le sfiora
il filo del rasoio dell'amore umanitario. Basta.
Dirò invece, che voi uomini dovrete essere liberati,
anche se noi donne dovremo spingervi a calci nella libertà, uccidervi
dato che i più di voi sceglieranno la morte con gioia
piuttosto che rinunciare al potere di avere il potere.

Compassione per gli impulsi suicidi dei nostri assassini? Bene,
una volta in aereo l'uomo seduto nella fila accanto,
un paraplegico della seconda guerra mondiale,
completamente morto dalla vita in giù,
che si muoveva avanti e indietro nella sua sedia a rotelle, passò tutto il tempo
a divorare le pagine sportive del giornale
e poi le riviste di sport,
facendo notare ad alta voce a chiunque l'ascoltasse
(sopratutto le hostess) quale atleta fosse "un vero uomo"
Due uomini seduti dietro di me discussero tutto il tempo
quali isole dei Caraibi erano meglio per andare a puttane,
quale colore di culo fosse più sensuale e compiacente.
Le hostess gli sorridevano e gli servivano il caffè.
Mi aggrappai ai braccioli del sedile più volte
per non alzarmi e gridare all'intero carico umano
di quell'aereo cos'era che ci torturava tutti_ non lo feci
perché sapevo che mi avrebbero preso per una pazza, un dirottatore
in potenza magari, e mi avrebbero immobilizzato per poi scaricarmi
al Bellevue Hospital al nostro arrivo a New York.
(Nessun dirottatore, lo capii allora, vuole davvero impossessarsi
dell'aereo. Lei/lui vuole impossessarsi della testa dei passeggeri,
cambiarli dal di dentro, fare la rivoluzione
a 10.000 metri di altezza
e tornare al paese di partenza con una pattuglia di volante magica
e vincere.)
Frenarmi sta diventando un lusso tattico,
che prende sempre più piede.

L'orticaria infiamma sempre più le stimmate della mia passione.
Un giorno o l'altro mi toglierete il bambino, in qualche modo.
E l'uomo che ho amato, in qualche modo.
Perché tutto questo mi deve dare nausea e terrore?
Mi avete già tolto me stessa
non ho altra strada se non di addentrarmi
sempre più nella follia, i mostri, le ragnatele, le nausee,
per liberare voi -uomini - dall'ucciderci, ucciderci.

Nessun popolo colonizzato è stato così diviso
per così tanto tempo come le donne.
Nessuno paralizzato a tal punto dalla compassione per l'oppressore
che respira ogni notte sul cuscino accanto.
Nessun popolo tanto vecchio che dopo aver inventato, come ora sappiamo
l'agricoltura, la tessitura, la ceramica, il linguaggio, la cottura
dei cibi, e la medicina, deve ora inventare una rivoluzione
così totale da distruggere il maschio, la femmina, la morte.

Oh, madre, sono stanca.
Una sorella, nuova a questo tormento chiamato consapevolezza femminista
per mancanza di un grido che lo nomini, mi chiese
"Ma come fai a non impazzire?"
In nessun modo, sorella.
In nessun modo.
Una volta ho pensato, questa è una guerra dei pori contro l'intossicazione.

E voi, uomini. Amanti, fratelli, padri, figli.
Vi ho amato e vi amo ancora, se non per altro
perché siete usciti gemendo dal mostro
mentre il mostro si curvava dal dolore per darvi il potere
di rompere il suo incantesimo.
Bene,finalmente siamo noi a doverlo rompere.
Vi parlerò sempre meno
con suoni sempre più inarticolati e confusi che non capirete:
formule di streghe, poesie,nenie di vecchie donne,
cifrario schizofrenico, accenti, litanie, bombe,
veleno, coltelli, pallottole,qualunque cosa
questa libertà possa inventare.

Che le chiazze d'orticaria fioriscano audaci che la carne si infiammi
e bruci tra le reti
Impazziamo insieme sorelle.
Che l'agonia del travaglio per partorire la rivoluzione
sia la fine del dolore.

Convinciamoci che niente ci fermerà.

Io che devo imparare a sopravvivere finché la mia parte sarà
finita.
Che devo prendere coscienza
che sono
un mostro. Sono
un
mostro.
Io sono un mostro.

E ne sono fiera.


(1972)

Robin Morgan, militante del Movement, movimento di liberazione, ha fondato il gruppo femminista radicale di New York,WITCH. Ha pubblicato un libro di poesie chiamato "Monster"

Madri nella Crisi: "SUONERA' UNA SIRENA: SEGNALE DI PRESENZA, SVEGLIA ALLE COSCIENZE"

TUTTI I GIORNI SUONERA' UNA SIRENA: SEGNALE DI PRESENZA, SVEGLIA ALLE COSCIENZE.
Siamo presenti, siamo vive e continuiamo a lottare.
Siamo le Madri nella Crisi e da oggi daremo un altro segno della nostra presenza sul tetto del Policlinico che occupiamo ormai da quarantacinque giorni. Ogni due ore, da quassù, faremo suonare una sirena che sarà un allarme per la nostra situazione e una sveglia per le vostre coscienze: noi siamo ancora qui!
PER CHI SUONERA’ LA SIRENA?
Suonerà per le istituzioni, sorde alla nostra richiesta di aiuto.
Suonerà per il policlinico che ci ha lasciato a casa dopo averci spremuto per vent’anni.
Suonerà per le agenzie interinali che  ci hanno sfruttato e ricattato con contratti mensili.
Suonerà per tutti i precari, come come fosse una sveglia
Suonerà per le donne e le madri a cui non vengono garantiti diritti.
Suonerà per quei sindacati con la cui complicità il lavoro precario è diventato simbolo della vocazione suicida di questo paese.
Suonerà come fosse un’adunata, perché noi donne madri ribelli nella crisi agiremo di nuovo.
Mentre la politica è in  vacanza, noi resistiamo e aspettiamo. Aspettiamo il vostro ritorno dalle vacanze, da quelle stesse vacanze che a noi sono negate, essendo venuta meno la nostra condizione di lavoratrici. Vacanze che abbiamo deciso di trascorrere su un tetto occupato, per occupare il cuore, riempirlo dell’orgoglio di chi si sente nel giusto  e si organizza perché ci troviate ancora qui, più forti e numerose, determinate a far rispettare un nostro diritto e la nostra dignità.
Questa sirena sarà anche un monito continuo a chi - sindacati e istituzioni - non vuole cambiare una regola che non riconosce nei concorsi pubblici il servizio prestato dentro le strutture sanitarie pubbliche dai lavoratori interinali. Questo rischia di moltiplicare a breve situazioni come la nostra, un esercito di disoccupati espulso dalla sanità. Un fiume di professionalità ed esperienza che, invece di essere al servizio della salute dei cittadini, vivrà la stessa disperazione che noi abbiamo saputo trasformare in rabbia razionale.
Questa sirena suonerà anche per voi, disoccupati del futuro, espulsi da una politica cieca e irresponsabile, da un sindacato complice e inerte.
Al ritorno dalle vacanze, siate uomini! Quando smetterete il cuore caldo da vacanzieri e un attimo prima di impiantarvi in petto quello gelido del calcolo politico, pensate alle Madri nella Crisi, alla loro lotta, alle loro ragioni. Noi vi stiamo già pensando, pronte a riprendere le azioni di lotta, pronte a riprenderci la dignità.
Contatti:
Pietro Cusimano 3207285158
Riccardo Germani 3382358196
Adriana 3391801794

13/08/14

A Niscemi/No Muos con le donne e il popolo palestinese

http://proletaricomunisti.blogspot.it/2014/08/pc-10-agosto-la-repressione-di-questo.html


...Una nuova giornata di lotta che ha posto con forza la questione che strumenti come il Muos servono alla criminale guerra imperialista, al servizio del capitale, volta al controllo geostrategico di varie parti del mondo e la necessità di lottare contro il governo italiano, servo degli USA, che legittima l'utilizzo di tali strumenti di morte diretta e indiretta, vedi anche la questione dell'inquinamento ambientale e le correlate conseguenze di malattie per la popolazione costretta a vivere vicino a questi muostri imposti.
In questo senso molto importante è stata la solidarietà attiva che tutto il corteo ha espresso al popolo palestinese che resiste contro l'abominevole sterminio di massa attuato dallo Stato sionista di Israele, sostenuto dall'imperialismo degli Stati Uniti, dell'Europa e dell'Italia, tante le bandiere palestinesi che sventolavano, diversi gli striscioni, così i messaggi che si sono levati anche in particolare verso le le donne, i bambini palestinesi, maggiormente colpiti dalle armi assassine di Israele e contro cui l'odio nazista si scatena fino a dire di uccidere le donne palestinesi per impedire di far nascere altri ribelli, messaggi che si sono levati dalle Mamme No Muos alle donne che hanno fatto un flash mob lungo i sentieri, alle compagne del Mfpr che hanno diffuso l'appello “dalle donne proletarie alle donne palestinesi” affiggendo anche uno striscione al presidio No Muos...





*****

Altre firme di sottoscrizione all'appello si sono aggiunte in questi giorni

 AL FIANCO DELLE DONNE PALESTINESI

Graziella Di Gasparro - Caserta

Giovanna Carlà - Trento

Abir Chourgoufa Arfaoui – Tunisi

AnnaMaria Marchese – Bari

Milly Mia – Brindisi

Ronchi Ketti - Sinistra Anticapitalista

Studentesse e studenti del CUR (Collettivo Universitario Rivoluzionario)

Palermo

Francesca Calandra – Palermo

Assunta Di Giovanni – Cavriago

Luisanna Nicotra – Trieste

Lavoratrici, precarie e disoccupate Slai Cobas per il s.c. Palermo, Taranto,

L'aquila, Milano

Damiana Novellino – Faggiano (TA)

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario

Lavoratori autorganizzati MEF

Daniela Tranchina – Grignasco

Martamaria Marino – Napoli

Annalisa Melone

Antonila Centonze – Martano (Le)

Interdisciplinarericercaprogetto – La Spezia

Alice Castiglione - Palermo

Alessandra Notarbartolo - Palermo

Marialuisa Vigliani

Movimento Simone de Beauvoir - Roma

Teresa Pezzi - Francavilla al Mare (CH)

Concetta Costa - Palermo

Antonella Tassitano - Reggio Calabria

Vincenza Semplici

Ricciardi Cinzia - Cupello (CH)

Loredana Borghi - Reggio Calabria

Ada Romito - Chieti

Aurora Vazzana

Anna Carrera (volontaria di PeaceLink)-Taranto

Carla Basile - L'Aquila

 Luisa Cerasoli - L'Aquila

 Mohammad Alì Rezakhan - L'Aquila

Rossella Megna – Palermo

Gabriella Esposito – Palermo

Clr Contatti Donna – Roma

Maruzza Battaglia – Segreteria Provinciale Rifondazione Comunista di Palermo

e Presidente dell'Associazione LAB.ZEN 2 Onlus

Rachele Pesaresi – Roma

Rosanna Ovidi – Orvieto

Magdalena Cecilina – Lecco

Alba Barlocco – Busto Arsizio

Sos Donne Bologna

Marcella Raiola  -Coordinamento Precari Scuola Napoli


Comitato “Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni” a Israele
    Peace Link - Taranto
Alice Dominici - Firenze
Magdalena Cecilina - Roma
 Amantia Aisha Martinelli - Sassari
Katia Menchetti
Rosanna De Angelis - Moncalieri (TO)
Cecilia Sonia - Latina
Lorella Pellizzoni - Olevano di Pomellina Pavia
Angela Galici - Palermo


APPELLO
AL FIANCO DELLE DONNE PALESTINESI

Sono le donne e bambini palestinesi a pagare il prezzo di sangue più alto nel genocidio che sta portando avanti lo Stato di Israele.
Non si tratta di "vittime collaterali" ma di morti volute di un massacro mirato colpendo precisamente i luoghi dove sono soprattutto
donne e bambini (case, ospedali, scuole, parchi, mercati); lo Stato sionista di Israele vuole in realtà distruggere un intero popolo.
COME DONNE FACCIAMO SENTIRE FORTE IL NOSTRO GRIDO DI PROTESTA E IL NOSTRO SOSTEGNO ALLE DONNE PALESTINESI E ALL'INTERO POPOLO.
SCENDIAMO IN PIAZZA CON SIT-IN SOTTO LE PREFETTURE O STRUTTURE ISTITUZIONALI/POLITICHE/MILITARI   

Siamo con le donne palestinesi perchè Israele paghi caro il loro sangue e lacrime per i figli e familiari uccisi!
Siamo con la resistenza delle donne palestinesi. Esse stanno ancora una volta dimostrando che non sono solo “vittime". Il coraggio, la determinazione delle donne palestinesi a non abbandonare la loro terra, la loro resistenza, sono sempre state in passato e sono tuttora una forza potente, che prima o poi trasforma il sangue versato da loro e dai bambini in "armi" contro la barbara oppressione e i massacri di Israele e per la lotta fino alla libertà della Palestina. 

LOTTIAMO CONTRO LO STATO E IL GOVERNO ITALIANO AMICI DI ISRAELE
Lo Stato, il governo italiano, Napolitano, la ministra degli esteri Mogherini, le industrie di armi italiane, insieme all'imperialismo Usa e governi europei, sono complici di questo genocidio, giustificando lo Stato colonizzatore di Israele e fornendogli le armi che massacrano i palestinesi.
E le cosiddette "quote rosa" parlamentari non dicono una parola sul sangue delle donne palestinesi!

I criminali interessi strategici dell'imperialismo valgono bene la vita di donne e bambini palestinesi!