31/07/13

'Lo Stato incoraggia la violenza'

'Lo Stato incoraggia la violenza'

di Chiara Baldi e Paola Bacchiddu
"Bisognerebbe fermare i persecutori, aiutare chi ha il coraggio di raccontare, lavorare sulla prevenzione degli abusi: ma tutto questo non avviene". La denuncia di Angela Romanin, vice direttrice della Casa delle Donne di Bologna, l'unica associazione che in Italia che monitora costantemente la violenza di genere
(29 luglio 2013)
Uno Stato che incoraggia la violenza sulle donne e una società che colpevolizza le vittime addossando loro la responsabilità degli abusi subiti. E' questo il quadro che Angela Romanin, formatrice e vice direttrice della Casa delle Donne di Bologna, l'unica associazione che in Italia monitora costantemente la violenza di genere fornendo dati che nemmeno l'Istat fornisce (l'ultima indagine dell'istituto di statistica risale al 2006, la prossima sarà nel 2014), fa all'Espresso dopo il caso Millacci-Di Cataldo, sulla cui veridicità stanno indagando gli inquirenti.

«Lo Stato italiano incoraggia la violenza contro le donne, facendo in modo che essa si perpetui», accusa Romanin. Sì perché, spiega, «se lo Stato non aiuta le donne che denunciano gli abusi, se non ferma i persecutori, se non previene la violenza, se non fa tutto questo, allora vuol dire che incoraggia la violenza e infatti si parla di sostegno ai maltrattanti piuttosto che alle maltrattate». «Un terzo delle donne adulte italiane subisce violenza da parte di un uomo che, nella maggior parte dei casi, è il partner o ex partner. Poi ci sono gli abusi da parenti e amici e solo per ultima, e in percentuale molto minore, c'è la violenza subita da parte di sconosciuti», ricorda Romanin: un dato che smentisce molta della propaganda politica di questi anni contro gli immigrati che "stuprano le nostre donne".

In Italia sono solo 100 i centri antiviolenza sparsi sul territorio, di cui una sessantina fanno parte della rete D.I.re (donne in rete contro la violenza) che fa capo alla Casa delle Donne di Bologna. «Ci sono dei luoghi completamente sguarniti come ad esempio il Molise», denuncia Romanin, che spiega: «l'isolamento geografico di alcune zone, insieme ad una bassa densità di popolazione e ad una mancanza di centri antiviolenza, condizionano negativamente la donna che deve chiedere aiuto e che, materialmente, non saprà a chi rivolgersi: in caso di abusi, non avrà modo di denunciare nulla».

A tutto ciò, dice la vice presidente della Casa delle Donne, si unisce un fortissimo gap nella formazione degli operatori: «la cosa più importante è che chi riceve queste ragazze sia formato, e cioè sappia identificare bene la violenza, sappia valutare il rischio e, infine, gestirlo attuando un buon piano di protezione.

Queste tre operazioni - continua Romanin - rientrano in un modello di valutazione del rischio che viene usato in tutti i centri antiviolenza e che deve necessariamente essere fatto ma che, a causa della mancata formazione, o di una formazione incompleta e inadeguata, raramente si fa». L'esempio più classico è quello dell'ordine di protezione (legge 154 del 2001), che stabilisce l'allontanamento dal domicilio del partner maltrattante con la possibilità di vietarne l'avvicinamento anche ai luoghi frequentati maggiormente dalla donna: «abbiamo impiegato 10 anni per avere questo strumento, eppure sappiamo che è applicato a macchia di leopardo: a Bologna, ad esempio, lo si usa molto, mentre da alcune parti neanche esiste, sebbene sia uno strumento legislativo che non richiede nessuna risorsa economica, dato che è previsto dalla legge italiana». Perché? «Perché non lo si conosce: avvocati e Tribunale spesso lo ignorano e non ne chiedono l'applicazione», spiega. «Questa legge, abbiamo scoperto, viene applicata soprattutto dove ci sono centri antiviolenza forti in cui gli avvocati, molto spesso donne, sono esperte e perciò ne chiedono l'applicazione ed esercitano una pressione affinché la si usi».

«Non avremmo neanche bisogno di una legge sul femminicidio: la nostra legislazione andrebbe benissimo già così com'è - dice - basterebbe applicarla anche ai diritti delle donne. Il problema però è che non lo si fa, ed ecco che allora chi denuncia gli abusi rimane sempre più spesso sola. Sono rari i casi in cui si va a processo per aver commesso violenza contro una donna e molto spesso il tempo è lunghissimo: 5, 6, 7 anni che sono tantissimi se si pensa all'inferno che si vive mentre si aspetta il processo». Ma c'è un punto nodale ed importantissimo in questo vortice di violenze e silenzio ed è quello che riguarda la responsabilità: le donne, in Italia, diventano colpevoli delle violenze che subiscono. «E' un atteggiamento molto comune», conferma Romanin. «Se si continua a colpevolizzare la vittima, le donne non chiederanno mai più aiuto: l'Istat dice che il 30% di coloro che subiscono violenze fisiche o sessuali non ne parla con nessuno. E' un dato allarmante, ancora di più se considerato nell'ottica che, una volta uscita dal silenzio e trovate le forze di denunciare, la donna si sente dire che è colpa sua. E' un tentativo preciso, questo, di responsabilizzare la vittima invece che l'autore». Un'idea assolutamente individualistica di società, in cui viene meno il senso di responsabilità comune per farne emergere quella, tutta personale, di trovarsi in una condizione dolorosa a causa propria: «dobbiamo convincerci che le donne non possono fare niente affinché cessi la violenza del partner, possono solo proteggersi ma non è che sta a loro fare in modo che il compagno smetta di picchiarle. Ognuno ha la responsabilità di se stesso», chiarisce Romanin. «Da noi arrivano donne che si sentono in colpa per le botte che hanno preso perché il meccanismo della vittimizzazione è quello che sottiene al pensiero: "sei una cattiva madre/moglie/amante, non sei brava a letto, sei una puttana, mi provochi, mi fai ingelosire, dai più credito ai tuoi genitori che a me, mi umili, guadagni tanto/poco" e via dicendo». Uno schema perfettamente integrato in una società con un fortissimo retaggio cattolico e in cui l'impostazione patriarcale della famiglia vede la donna come unica responsabile dei fallimenti non solo suoi ma anche dei figli, dell'unione marito-moglie e di tutto quanto graviti nella sfera familiare       

 Questa è l'Italia per le donne del Terzo Millennio. Un Paese in cui, dopo le dimissioni del Ministro alle pari oppurtunità Josefa Idem, non si è neanche pensato di nominarne un altro (la delega è passata a Maria Cecilia Guerra ma in qualità di viceministro): «non abbiamo neanche un interlocutore con cui confrontarci» dice con sconforto Romanin. «Serve autorevolezza per affrontare questo tema e al Governo chiediamo l'attuazione immediata di un piano di antiviolenza nazionale: quello dell'ex ministro Carfagna potrebbe già andare abbastanza bene, ma deve essere migliorato in parte e soprattutto deve essere attuato, visto che è rimasto lettera morta: serve un'azione coordinata ed efficace per affrontare il tema su più fronti. In tutta Europa sono presenti i centri antiviolenza e questo abbatte il costo sociale della violenza: finanziarli è il modo più economico per combattere questo fenomeno e non farlo è sintomo di uno Stato miope, che non vuole risolvere il problemafamiliare.        

Ennesimo femminicidio, quando li costringeremo a smettere ?

Erika Frida Ciurlia
da Marina di Massa a Taurisano... stessa mano! I serial killer della violenza sessuale e femminicidio: sistema capitalistico, patriarcalismo, governi, stati del capitale, uomini che odiano le donne.

Se te ne vai ti ammazzo» Uccide lei e poi si spara TAURISANO - .
"..Franco Capone, 46 anni, carrozziere di Taurisano, non ha retto all'idea della separazione. L'incontro di ieri (il primo dopo che la moglie era andata via da casa) sarebbe dovuto servire per ritrovare un'intesa con Erika Frida Ciurlia, 43 anni, la madre dei suoi tre figli (una giovane di 25 anni, uno di 18 ed una bambina di 4 anni). Il chiarimento non c'è stato. E l'uomo ha perso la testa: ha estratto la pistola ed ha ucciso la moglie e poi si è esplosa una revolverata alla tempia.... Una separazione di fatto che il carrozziere non ha mai accettato. «Era ancora innamorato della moglie», dice chi lo conosceva. Eppure, quando la moglie è andata via, non ha esitato a minacciarla: «Se te ne vai ti ammazzo». E anche davanti ai poliziotti aveva agitato un'ascia. Parole e gesti rimasti isolati. La donna, comunque, da quel momento, aveva evitato di incontrare il marito".
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Sembra una tragica "fotocopia" del femminicidio di due giorni fa a Marina di Massa. Lei che si separa e lui che l'uccide, ma soprattutto lei che denuncia le minacce alla polizia e la polizia che non fa nulla. Non solo. Ancora una volta il modo come la stampa dà la notizia: lui "non ha retto alla separazione", "l'uomo ha perso la testa...","i "suoi" tre figli...", non fanno che avvalorare un messaggio tutto sommato giustificante e soprattutto falso, visto che questi assassini sono di fatto pensati, preparati da vari episodi precedenti di minacce.
NON SIAMO IN UN FILM!! E' una strage delle donne e non vogliamo lamentale e conta delle morti. QUESTO STATO E' IL PROBLEMA, NON LA SOLUZIONE!! SVILUPPIAMO LA NOSTRA RIBELLIONE, ORGANIZZIAMOCI PER LA RIVOLUZIONE!
Sull'immediato, dobbiamo pretendere con la lotta:
NO
  • all'intensificazione della presenza/controllo di Forze dell'ordine: polizia, carabinieri, ecc. nelle città, nelle strade;
  • non vogliamo che gli stessi che nelle carceri, nei Cie, usano anche stupri e molestie, offese sessuali contro le donne, che ci manganellano nelle lotte, siano messi a "difenderci";
  • a Task force che alimentano un clima securitario, di controllo sociale che si traduce in minore libertà, meno diritti per le donne.
SI invece
  • ad "illuminare" e rendere luoghi pieni di vita, ogni zona delle città e dei paesi, favorendo l'apertura 24 ore su 24 di locali, centri, parchi, e la gestione libera di essi da parte di organismi di donne;
  • interventi immediati contro i maschi denunciati per violenze, stalking, molestie sessuali, maltrattamenti;
  • Via subito dai posti di lavoro, dalla forze dell'ordine, dalle istituzioni chi esercita molestie, violenze sessuali;
  • Divieto di permanenza nelle case di mariti, conviventi, padri, fratelli denunciati per violenze, maltrattamenti;
  • Procedura d'urgenza nei processi per stupro e femminicidi e accettazione delle parti civili di organizzazioni di donne;
  • patrocinio gratuito per le donne;
  • Classificazione del reato di stupro tra i reati più gravi del sistema penale;
  • Semplificazioni e procedure d'urgenza per le cause di separazione e divorzi, con patrocinio gratuito per le donne...

Fiorella - del movimento femminista proletario rivoluzionario Taranto

Chieti: arresti domiciliari per violenza sessuale aggravata plurima

Il PORCO
qui l'articolo

CHIETI. Un arresto eccellente scuote la politica di Chieti. Da questa mattina è ai domiciliari Ivo D’Agostino. L’assessore comunale alla sanità, politiche della casa e protezione civile non è accusato dei reati “tipici” dei politici. Nessuna tangente, nè corruzione ma violenza sessuale aggravata. Il politico dell’Udc, 51 anni, a cui è contestata anche la concussione, avrebbe abusato di almeno 5 ragazze bisognose. Le giovani si rivolgevano all’assessore per avere una casa popolare (alcune gli erano state segnalate direttamente dalla Caritas). D’Agostino, secondo l’accusa, chiedeva in cambio delle prestazioni sessuali. Tutti i casi di presunti abusi, tentati e consumati, sarebbero avvenuti negli uffici dell’assessorato.

Le vittime degli abusi sono cinque donne, per lo più ragazze madri, tre delle quali straniere, che versavano in condizioni economiche precarie alle quali l'assessore prometteva l'alloggio, pur in presenza di una regolare domanda presentata dalle malcapitate, in cambio di prestazioni sessuali. L'indagine, come ha spiegato nel corso di una conferenza stampa il dirigente della Mobile, Francesco Costantini, presente il questore Filippo Barboso, è partita dalla denuncia di una delle vittime, presentata nello scorso giugno. Una delle vittime, di nazionalità caraibica, avrebbe incontrato D'Agostino nella sede dell’assessorato. L’assessore avrebbe in seguito approfittato dello stato di necessità della donna per carpirne favori sessuali. Altre quattro donne, tutte giovani ed avvenenti, sono state poi rintracciate dagli uomini della mobile, grazie anche alla collaborazione del responsabile della locale Caritas.

Gli abusi sono cominciati nel novembre 2011: agli inquirenti è stato mostrato il contenuto di alcuni sms che D'Agostino aveva spedito alle vittime, mentre in un caso il contenuto di una telefonata è stato ascoltato in presa diretta dai poliziotti che indagavano. Gli incontri sessuali avvenivano negli uffici comunali dell'assessorato alle politiche della casa, con D'Agostino che sarebbe riuscito a coniugare gli impegni politici con gli appuntamenti che aveva con la vittime. «Ci siamo limitati a riportare il grido di dolore di cinque donne - ha detto fra l'altro il dirigente della Mobile -. Alcune di loro non avevano il coraggio di denunciare perché vessate da D'Agostino che si faceva forza della carica rivestita».

D'Agostino è sposato e padre di quattro figli. È stato arrestato questa mattina presto e, dopo essere stato condotto in Questura per le formalità di rito, è stato riaccompagnato a casa. A notificare gli arresti domiciliari è stata la squadra mobile di Chieti. L'ordine di custodia cautelare è stato emesso dal gip Paolo Di Geronimo su richiesta del pm Lucia Campo.

29/07/13

Un'altra donna uccisa - i complici sono nelle "forze dell'ordine" e in questo sistema sociale


Ancora una volta, pare che la donna avesse già denunciato la persecuzione dell'ex marito. 

Ma la strage senza fine di donne per mano di uomini che odiano le donne, è legata a doppio filo con questo sistema sociale, questi governi e Stati del capitale, questa polizia, carabinieri, al cui interno l'ideologia di oppressione, di odio verso le donne è dominante. Senza attaccare l'intero sistema, questa guerra di bassa intensità non solo non ha fine ma si intensifica. 

Lanciamo il lavoro in tutto il paese per una grande manifestazione di donne per l'autunno e per lo sciopero delle donne fuori e contro governi, Istituzioni, forze dell'ordine, ma anche dirigenti e segreterie dei sindacati confederali.

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"Marina di Massa. Marco Loiola, 40 anni, è entrato nel locale sul lungomare vicino alle spiagge affollate di bagnanti armato di pistola e ha sparato a Cristina Biagi da cui era separato. Colpito in strada il presunto amante della donna ora gravissimo. Le ultime parole dell'uomo alla donna: "Salutami tanto la mia mamma"

Accecato dalla gelosia ha sparato prima all'uomo che riteneva essere il nuovo compagno della ex moglie, cinque colpi, in mezzo alla strada a Marina di Massa mentre l'altro cercava di scappare disperatamente in bicicletta. Poi è andato a cercare la ex moglie, Cristina Biagi, che lavorava nel bar di un ristorante vicino alla spiaggia: ha fatto di nuovo fuoco, uccidendola. Terrore fra la gente. Marco Loiola, 40 anni, operaio alla Solvay, di Marina di Massa è poi uscito dal locale e si è sparato. "Salutami tanto i miei, saluta tanto la mia mamma" sono state le sue ultime parole. Loiola prima di premere il grilletto contro di sè si è rivolto così a una donna che tentava di fermarlo fuori dal ristorante. "Era pallido, sudato, tremava - racconta Nicoletta Bertini, proprietaria del bagno Maria Pia, accanto al ristorante dove l'uomo ha ucciso la ex moglie. Ho provato a fermarlo, gli ho detto 'Ti prego, non farlo, anch'io sono una mamma". Il movente è la gelosia. Loiola non voleva separarsi dalla moglie: i due però da mesi non vivevano più insieme. E una vicina di casa della donna racconta che Cristina lo aveva anche denunciato per minacce: "La tormentava, veniva spesso sotto casa". Sembra che l'ultima lite fosse avvenuta pochi giorni fa proprio al bar.

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28/07/13

Perché le donne sono la maggioranza nella guerra popolare diretta dai maoisti

Riprendiamo e pubblichiamo in italiano un importante articolo, già pubblicato nei giorni scorsi in spagnolo su proletari comunisti, insieme a nostre considerazioni.

"Secondo una recente stima del nemico, in particolare del Ministero degli Interni dell'India, le donne costituiscono il 60% dei militanti maoisti negli Stati più influenzati dall'”estremismo di sinistra”, cosiddetti “corridoio rosso”.


Secondo le fonti del nemico, a differenza degli anni passati quando le donne non avevano un ruolo di combattimento, ora quasi tutte stanno nelle zone di battaglia e impegnate all'interno della lotta contro le forze di sicurezza. Le fonti dicono che le donne sono state una parte principale di alcune delle grandi operazioni realizzate recentemente dai ribelli rossi.
Il Partito Comunista dell'India (Maoista) dà grande importanza alla situazione dell'oppressione della donna in India e alla lotta per la sua emancipazione come parte integrante dell'emancipazione e liberazione di tutte le classi oppresse dell'India.

Il Partito Comunista dell'India (Maoista) nel suo 9° Congresso, congresso selebrato in gennaio e febbraio del 2007 e che diede vita all'unità di due forze comuniste MLM e un impulso decisivo alla guerra popolare che avanza con successo in India, adottò questa risoluzione:


Risoluzione sulla violenza dello Stato contro le donne:
“Questo Congresso esorta tutte le donne oppresse e sfruttate a levarsi contro l'oppressione e a unirsi al movimento rivoluzionario di liberazione”.
Questo trova le sue radici nella condizione delle donne di doppio sfruttamento e oppressione, spesso triplice oppressione, e nella trasformazione di queste condizioni in doppie ragioni di rivoluzione. Per fare della lotta di liberazione delle donne una forza poderosa per la rivoluzione e per la rivoluzione nella rivoluzione come reale emancipazione di tutte le masse oppresse.
Ma questo è possibile solo impugnando il marxismo-leninismo-maoismo e solo in un partito comunista che fa del mlm e in particolare del maoismo, non una etichetta, ma un'arma applicata, di lotta e di trasformazione qui ed ora di tutte le ideologie borghesi, compreso il maschilismo, il sessismo, i residui del patriarcalismo, le cui protagoniste principali sul fronte pratico, politico e ideologico, ma anche organizzativo, sono le donne.

Riportiamo, su questo, stralci da un testo del MFPR:

Appunti per un nuovo pensiero e prassi:

femminista proletario rivoluzionario

(spunti dal libro “Guerra popolare e liberazione delle donne in Nepal” della Parvati

e punti di elaborazione del MFPR Italia)



Le donne sono una forza poderosa della rivoluzione. Le donne sono state le prime ad essere soggiogate nella storia dell'umanità, saranno le ultime ad essere liberate, da qui la loro spinta a portare la rivoluzione a forme più alte... Per questo le donne sono una forza strategica che non solo previene la controrivoluzione ma che porta avanti anche una rivoluzione continua...



...La natura dell'oppressione di classe e sessuale delle donne è di lunga durata, ecco perchè la Guerra Popolare di lunga durata attrae molto le donne oppresse. La GP di lunga durata aiuta la partecipazione delle donne, poiché questa guerra di guerriglia è il metodo usato dalla parte debole della società per combattere contro le forze di stato più forti. All'interno del processo della GP le trasformazioni continue, l'abbattimento della cultura feudale e il controllo della cultura imperialista aiutano le donne nella realizzazione del loro valore di esseri umani che hanno una dignità...



... Le donne sono le masse. In ogni lotta le donne portano l'insieme della loro condizione (famiglia, ecc.) e viceversa portano le esperienze di emancipazione che si conquistano nelle lotte all'interno della loro condizione familiare. Quindi, parlare delle donne è parlare dell'insieme della condizione di sfruttamento e di oppressione delle masse.

Le donne portano oggettivamente, e quando lottano anche soggettivamente, una critica generale al sistema capitalista, un'esigenza di trasformazione radicale qui ed ora, per questo il movimento di liberazione delle donne è inconciliabile con ogni idea e prassi riformista.

L'essenziale della questione delle donne è che le donne sono le “masse”; solo se si affronta il problema delle donne il partito comunista rivoluzionario è di massa, solo se si affronta così c'è la linea di massa...



La direzione delle donne è essenzialmente la concretizzazione dell'ideologia politica.

I movimenti rivoluzionari hanno sempre scatenato la furia delle donne, ma essi non sono stati in grado di focalizzare la loro energia nel produrre una duratura direzione di donne comuniste...



Dal paragrafo: “Perchè diciamo che è necessario un movimento femminista proletario rivoluzionario?



...le donne – dall'inizio - siano l'anima e la forza più generalista, più coerente, più radicale di una rivoluzione che vada a fondo, una rivoluzione nella rivoluzione, che sconvolga e trasformi la terra e il cielo. Sono le donne proletarie che, diversamente dalle donne borghesi, non hanno nulla da perdere se non le proprie doppie catene... e che per questo quando decidono di ribellarsi esprimono una radicalità ed una determinazione che non hanno uguali; è per questo che quando alla paura, al silenzio, ai ricatti, si sostituisce la coscienza che “ribellarsi è giusto”, si scatena nelle donne proletarie una grande potenzialità rivoluzionaria...”

Dalle riflessioni a caldo sul lungo weekend NO TAV delle compagne del CAU di Napoli.

Dalle riflessioni a caldo sul lungo weekend NO TAV delle compagne del CAU di Napoli.

Riportiamo qui del testo soprattutto la parte. che si sofferma sull'episodio di aggressione e arresto da parte della polizia della compagna Marta, condito in questo caso da molestie e offese sessiste.

“Perché si accaniscono così tanto sul movimento NO TAV e su chi lo appoggia?

In Valsusa si gioca una partita che parte da un treno... e si spinge ben oltre. La lingua del movimento NO TAV parla a tutti quelli che si oppongono allo stato di cose presente e che con ogni mezzo necessario hanno intenzione di sovvertirlo, di abolirlo... Un avanzamento in Val Susa, contro il TAV, significa, potenzialmente, un avanzamento per tutti. Loro lo sanno, e per questo non cedono su un progetto dichiarato apertamente inutile.

Poi c’è l’altra faccia della medaglia: visto che la posta in gioco è abbastanza alta, hanno deciso di investirci e fare della Val Susa un laboratorio di repressione, una repressione che diventa, col passare del tempo, sempre più “normalizzata”...

E spesso nel teatro della sperimentazione-studiata a tavolino ci scappa, per così dire, anche la barbarie. Ci sembra d’obbligo soffermarsi sull’episodio raccontato e purtroppo vissuto da Marta, compagna arrivata da Pisa, inizialmente tra i 9 fermati e poi denunciata a piede libero. Una storia nella storia che nel suo sviluppo diventa sempre più tremenda: è sempre venerdì 19, e anche lei vive i fatti raccontati precedentemente, passeggiata-cariche-lacrimogeni-pestaggi-il fermo, fino a quando si aggiunge qualcos’ altro: en passant, la polizia decide anche di molestarla e rivolgerle insulti sessisti.

La tragedia diventa ancora più tragica e la barbarie più barbarica quando il Senatore Stefano Esposito sminuisce l’accaduto sostenendo non solo che le manganellate se l’è meritate, ma che ha inventato le molestie subite. Qualcuno, in buona fede, si è chiesto cosa c’entrasse questo con la violenza di genere. “Se Esposito avesse parlato di qualche altro ragazzo fermato non si sarebbe rivolto comunque così?” Pensiamo proprio di no. Episodi come questo dimostrano quanto le “questioni di genere” attraversino in profondità ogni attimo delle nostre vite e quanto il nostro dibattito sia, al netto di ciò, molto arretrato. Come raccontato da Marta durante la conferenza stampa, ai poliziotti non sono bastati i calci, i pugni, i candelotti di gas, il fatto di averla già portata nel cantiere in stato di fermo, perché c’era anche un ulteriore e più profondo modo per punire una donna, già impossibilitata a muoversi o reagire: “toccarla nelle parti intime e palparle il seno”, per farla sentire ancora più impotente nei confronti degli altri e di se stessa, magari per farla deridere da quelli che c’erano attorno, per far passare il messaggio “hai scelto tu di essere qui, ma ora sei nostra, sei nelle nostre mani e di te facciamo tutto quello che vogliamo noi”. E alla “poliziotta bionda” non è bastato tutto questo, perché probabilmente per la miseria umana che si ritrova dentro aveva bisogno di dimostrare la propria superiorità ed emancipazione chiamando Marta “puttana” e sputandole in faccia.

Perché se la donna è un’attivista NO TAV, se oltre ad essere moglie e madre diventa un soggetto attivo, critico della società, che scende in piazza a lottare per difendere i propri diritti, allora è una “disonorata”, va punita e le manganellate se le merita!

D’altronde Esposito è senatore di un partito che denuncia la violenza sulle donne con un’ipocrisia assolutamente dannosa: apre tavoli di confronto sull’argomento, organizza manifestazioni e dibattiti che vedono protagoniste donne che, in teoria, dovrebbero avere in comune solo la vagina (dalla Camusso alla Bongiorno; poi si capisce, in realtà, come in comune abbiano anche l’appartenenza, con contributi diversi, alla classe dominante e al suo sfruttamento), e al contempo giustifica e legittimare la violenza di genere con affermazioni come queste, o magari chiedendo più polizia e militari per le strade (e chi ci protegge, da loro?) continuando ad attaccare la 194 o non facendo nulla per farla rispettare, e tanto altro ancora.

L’ipocrisia e la strumentalizzazione del PD ci conferma ciò che sosteniamo da tempo, ossia che la violenza di genere (da quella sessuale, alla discriminazione, alla segregazione in casa e tanto altro) ha un’evidente funzione sociale: diventa uno strumento di punizione, di assoggettamento che serve a confinare, a isolare e a preservare un livello di subalternità cui è relegata la donna nella società, assolutamente funzionale agli interessi della classe dominante...”

Con Marta e le donne No Tav - PD come i poliziotti molestatori

No Tav irrompono alla Festa dell'Unità, striscioni contro il senatore Esposito

Un gruppo di attivisti contro la realizzazione dell'alta velocità Torino-Lione ha inscenato una contestazione sotto il palco dove è ospite il segretario del Pd Epifani. La protesta scatenata da un tweet. Il senatore: "C'è una deriva anti Stato"

di VIOLA GIANNOLI

Un gruppo di manifestanti No Tav ha scosso la Festa dell'Unità di Garbatella. Dopo aver esposto striscioni contro la realizzazione dell'alta velocità Torino-Lione, i manifestanti hanno infatti contestato il senatore del Partito Democratico Stefano Esposito, sotto il palco dove è ospite il segretario del Pd Guglielmo Epifani.
 
La protesta è partita quando la giornalista Bianca Berlinguer ha pronunciato il nome del parlamentare subalpino, nel mirino dei contestatori per un tweet nel quale accusava una manifestante No Tav, Marta Camposana, di aver mentito accusando la polizia di averla molestata.

Per tenere a bada i circa 50 manifestanti, in maggioranza donne, sono dovuti intervenire i carabinieri con i quali sono volati spintoni. La Berlinguer a quel punto ha invitato sul palco una delle ragazze che protestava per esporre al microfono le proprie ragioni: "Marta è stata molestata dalle forze dell'ordine - ha detto la giovane - e il vostro partito non dice nulla". Nel frattempo da un altro gruppo, composto da esponenti di Occupy Pd, è partito lo slogan: "Guglielmo facci votare", riferendosi al dibattito sulle regole congressuali del partito.

"Deriva anti Stato". "Confermo quanto ho già detto. C'è
una deriva in cui la Tav non c'entra più nulla. C'è una deriva anti Stato". Così il senatore Esposito: "La signora Marta - ha proseguito - è indagata per azioni violente contro la polizia. Finalmente oggi la procura di Torino ha aperto fascicolo sulle presunte molestie. Immagino finirà come ho detto, che la signora Marta le molestie se le sia inventate". "C'è il problema - afferma il senatore, che non era presente alla festa dell'Unità a Roma e quindi non ha assistito alla protesta - di non consentire che servitori dello Stato che prendono le botte siano additati come molestatori con dichiarazioni false. Le forze dell'ordine devono essere tutelate e rispettate. Quando, invece, hanno sbagliato, come a Genova, sono state punite".



La protesta degli attivisti si è poi spostata sul Lungotevere, all'altezza di piazza Trilussa. Le forze dell'ordine sono intervenute per disperdere la manifestazione, chiuso un tratto di lungotevere tra Ponte Mazzini e ponte Garibaldi con i bus deviati.

(26 luglio 2013)

La sentenza 232 della Consulta premia gli stupratori!

 Riceviamo e rigiriamo: lettera alla Boldrini

Alla Gent.ma e Ill.ma Presidentessa della Camera, On. Laura Boldrini

Onorevole Boldrini,

fin dal suo insediamento, di per sé motivo di speranza e di letizia, dopo tante e tanto gravi defezioni da quell'onore e da quel senso di responsabilità che si presuppone debbano essere sottesi all'esercizio di ogni carica istituzionale, Lei ha individuato nel dilagare atroce della violenza più efferata (e sostanzialmente, incredibilmente impunita) contro le donne uno dei principali contrassegni dell'allarmante involuzione della vita civile e culturale del paese, nonché il più evidente ostacolo a una "ripresa" che è semplicistico postulare solo a livello economico, e che deve invece essere olisticamente intesa come instaurazione di nuove relazioni umane, prima fra tutte quella tra generi, propedeutica ad ogni forma di riequilibrio sociale e di armonia.

Il Suo discorso fu allora salutato dal Parlamento con entusiasmo ipocrita, ma nulla è stato fatto, da allora, per contrastare la violenza, che continua a mietere vittime a ritmi intollerabili e con una brutalità crescente, alla quale sembriamo esserci tutti assuefatti, come se l'orrore fosse naturale e il terrore di essere stuprate e uccise fosse consustanziale al nostro essere donne. Questa abitudine alla "conta" delle morte ammazzate, ovvero questa drammatica rimozione collettiva, è l'oltraggio più grave che facciamo a noi stesse e alle nostre sorelle stuprate, umiliate, vendute, comprate, oggettivate e massacrate.

E' chiaro che gli uomini violenti perpetrano i loro delitti anche perché certi di essere culturalmente sostenuti e giustificati da una mentalità veteropatriarcale e sessista oggi vieppiù fomentata da una crisi usata come alibi per azzerare i nostri diritti civili, costati tanto sangue e tanta sofferenza.

Questa mentalità, che si pasce anche di incultura e di paradigmi di rappresentazione della donna da Lei encomiabilmente ed opportunamente proscritti, trasforma le vittime in imputate, suggerisce loro di conformarsi ai diktat di maschi per non subire offesa e le criminalizza e stigmatizza quando abbiano "osato" rifiutare la strumentalizzazione o reificazione pretesa dalla fragilità maschile e rivendicare il diritto ad esistere come persone libere, a scegliere il proprio destino, il proprio ruolo, la propria vita.

Non Le scrivo per sfogarmi, né per rammentarLe cose che Ella conosce e patisce con sensibilità tanto consolante quanto profonda, bensì per denunciare l'ennesimo, irricevibile provvedimento atto a banalizzare lo stupro (stavolta quello più atroce e grave, cioè quello di gruppo!) e a radicare nel sentire comune l'idea che tale reato non sia un omicidio senza morte, come le donne hanno cercato con fatica immane di dimostrare e far capire, con le lotte e la denuncia, ma una semplice restrizione della libertà sessuale, come se la libertà sessuale fosse una irrilevante e separata componente della Libertà garantita alle cittadine italiane, che l'hanno estorta ad una società profondamente maschilista con tenacia e coraggio in anni di battaglie dolorose.

Queste sono, infatti, le parole semplificanti e riduttive, laceranti e odiose, che la Consulta ha adoperato ancora una volta per stabilire che il carcere preventivo non è una misura obbligatoria per quanti siano accusati, anche con gravi indizi di colpevolezza a loro carico, di stupro di gruppo!

La sentenza 232, infatti, depositata oggi (relatore il giudice Giorgio Lattanzi), ha bocciato l'art. 275 del codice di procedura penale perché in relazione alla violenza sessuale di gruppo esso prevede la custodia cautelare in carcere e (cito) "non fa salva l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure ".

La sentenza ha disposto, dunque, che agli stupratori sia consentito di restare praticamente immuni da ogni misura coercitiva, quando tali misure non si rendano "necessarie". Evidentemente, l'accusa di aver stuprato a turno una donna o una bambina non costituisce motivo sufficiente a far scattare misure cautelari che vengono ritenute, per i gentiluomini in questione, "troppo afflittive"!

Questo pronunciamento non solo renderà ancora più rare le già scarse denunce, ma esporrà le donne violentate e maltrattate, già vessate e spesso uccise proprio a séguito della denuncia presentata, a ritorsioni ancora più gravi, ovvero le condannerà a morte certa!

Non era questo il segnale che Lei aveva chiesto nel Suo commovente e rigenerante discorso d'insediamento; non è di provvedimenti e gesti così evidentemente sbilanciati a favore degli stupratori, per quanto "giustificabili" e motivati sul piano legalistico, che il paese ha bisogno per disincentivare e disinnescare una violenza ineffabile e insoffribile, che ogni anno falcidia circa 250 donne!

Già nel 2010, con la sentenza n° 265, era stata eccepita "l'incostituzionalità" del decreto del febbraio 2009 col quale si disponeva la carcerazione obbligatoria per gli stupratori, un decreto emanato dal ministro Carfagna sull'onda dell'indignazione dopo il tremendo "stupro di Capodanno" subito da una ragazza romana costretta a subire numerose operazioni chirurgiche per le lesioni riportate durante la disgustosa e atroce violenza.

Oggi, la Consulta stupra e prende a pugni tutte le donne e la loro dignità con una sentenza che mi pare tanto più indecente in quanto sputa sulle istanze da Lei accoratamente espresse e difese più volte nel corso del Suo mandato e sputa sugli sforzi delle donne che combattono quotidianamente, tra difficoltà indicibili, contro minacce, pregiudizi e infamie, rimandando alla società il messaggio, gravissimo, che un branco di uomini che si accaniscono contro una donna devastandone corpo e spirito, tengono tutto sommato un comportamento che è da ritenersi praticamente privo di rilevanza penale e sociale!

Due sono le cose mostruose di questa sentenza, che oltraggia le donne ma sconcerta anche i tanti uomini di pace e cultura, che aborrono la violenza: la prima è che il suo relatore, per difendere gli stupratori, con cui, evidentemente, si sente solidale, si richiama stucchevolmente e puntigliosamente ai princípi di quella Costituzione che proprio in questo momento viene disattesa e denegata in ogni suo dettame, a partire dalla sovranità popolare, calpestata anche dopo referendum importanti come quello sui Beni Comuni o quello bolognese sull'attribuzione dei fondi alla scuola pubblica e non alla privata, una violazione che di continuo viene denunciata dagli esperti di diritto, da donne e uomini di Stato e di cultura, con toni sempre più allarmati; la seconda è che il modo in cui si parla dello stupro, sia nella sentenza 265 del 2010 che in quella emessa da poco, presuppone l'assoluto disprezzo per la sostanza intellettuale, morale, emotiva e professionale delle donne! Le donne stuprate, cioè, sono rappresentate e viste dalla Consulta come "corpi momentaneamente sequestrati per un uso improprio", non come persone irreparabilmente violate e straziate, né come professioniste la cui presenza sarà cancellata per lungo tempo o per sempre dalla vita sociale e associata, con enorme danno per la tenuta etica, culturale ed economica del paese!

Lo stupro non è un "piccolo affare privato" ma una purulenta piaga sociale e un terribile dramma collettivo; non è decente, in un paese appena appena decente, che lo si eufemizzi e depenalizzi de facto, avallando e incoraggiando la violenza, addirittura la violenza "di branco", con capziose e cavillose interpretazioni interessate delle leggi, che paiono muovere da spirito di vendetta e di rivalsa contro le vittime che non tacciono: è uno sconcio intollerabile!

Le chiedo, da cittadina e da docente precaria in lotta per la preservazione della Scuola pubblica e di ciò che essa rappresenta in termini di possibilità di emancipazione e costruzione di un'Italia senza discriminazioni e senza prevaricazioni indegne, di intervenire con una Sua nota censoria e di usare tutta la Sua influenza affinché il provvedimento in oggetto venga ritirato o vanificato nelle sue implicazioni giudiziarie contingenti e immediate, perché le donne, vero motore e grande risorsa spregiata di questo paese alla deriva, possano avvertire che non è loro "destino" essere vittime, che è loro diritto vivere da persone libere di espandersi e non da prede braccate, non solo da vigliacchi stupratori, ma anche da vili giudici che non si vergognano di farsi loro complici.

Con ammirazione e preoccupazione infinite


Prof.ssa Marcella Ràiola (Napoli)

Solidali con le lavoratrici in lotta

Presidio davanti alla Regione Lombardia delle lavoratrici Sanità

27/07/13

Sessismo fiat denunciato dalle donne di Pomigliano

Comunicato stampa

Donne operaie contro Marchionne e la pubblicità FIAT in USA:  DONNE COME SOTTOGRUPPI DA ASSEMBLARE, DONNE DAI CORPI NEGATI COME I DIRITTI  DEI LAVORATORI    Corpi nudi, negati e pitturati, quali meri componenti del processo  produttivo, scomposti e poi assemblati tra loro come pezzi di lamiera umana  a formare la vettura alla stregua dei sottogruppi montati alle catene di  montaggio.  Sono i corpi delle donne, stavolta usati dalla Fiat per pubblicizzare negli  Stati Uniti la 500 Abarth Cabrio. (Vedi "La Fiat 500 fatta con donne" su huffingtonpost).
Qualcuno la chiama “arte”, ma a noi ci fa rabbrividire il pensiero  sottinteso con cui Marchionne intende strumentalizzare i corpi delle donne  da lui considerati “cose”, semplici pezzi di componentistica da manipolare  per “fare prodotto”.
Questa logica aberrante non è diversa, ma rafforzativa e peggiorativa, del  precedente slogan della Fiat “noi siamo quello che facciamo”, come a dire  che il lavoro e la vita umana diventano merce di  rango e valore inferiore  alle merci stesse in quanto “serventi” del fine produttivo.  Una filosofia quella di Marchionne che pretenderebbe di estromettere i  diritti dei lavoratori e quelli sindacali dalle fabbriche come tra l’altro  confermato dell’ennesima e recente condanna della Fiat, questa volta dalla  Corte Costituzionale, per la violazione dei principi che tutelano le libertà  sindacali.  Attenzione, Marchionne, che tira tira… e la fune si spezza !

Pomigliano d’Arco, 24 luglio 2013
Comitato Mogli Operai Pomigliano  

Con le donne senza lavoro in lotta a Napoli

occupazione al comune di napoli delle donne senza lavoro - donne ai balconi

protesta delle donne che stamattina hanno occupato alcuni uffici di Palazzo San Giacomo, sede del Comune di Napoli. Momenti di tensione, con la Polizia municipale, si erano verificati quando le manifestanti avevano fatto ingresso nel Palazzo. Un gruppo di donne era riuscito a introdursi anche negli uffici di alcuni assessorati e si è rifiutato di uscire.
Davanti a Palazzo San Giacomo, circa una trentina di senza lavoro hanno gridato slogan che inneggiavano al lavoro. I dimostranti dei "Banchi Nuovi" lamentavano la scarsa attenzione mostrata dalle istituzioni cittadine nei confronti della loro vertenza e chiedevano, come fanno da tempo, un tavolo di confronto per discutere dell'impiego di fondi già stanziati che potrebbero dare soluzione alle loro vertenze.
Attorno alle undici e trenta quasi tutte le donne del movimento di "senza lavoro" dei cosiddetti "Banchi Nuovi" sono state portate dalla polizia in questura a bordo di due cellulari.
Ma un'altra decina è rimasto affacciata al balcone principale del palazzo: una delle manifestanti è rimasta a lungo all'esterno del balcone, aggrappata in maniera precaria alla ringhiera.

La donna si è rifiutata di tornare al sicuro malgrado gli inviti che le sono stati rivolti dalle forze dell'ordine presenti sul posto. Una donna, che stava prendendo parte al sit-in davanti alla sede del Comune, ha avvertito un malore ed è stata accompagnata in ospedale con un'ambulanza.

Stamani, intanto, una delegazione di un'altra fazione del movimento dei senza lavoro, quelli del cosiddetto "Coordinamento Bros", composto da una cinquantina di persone, si sta recando a Roma per chiedere un incontro al Ministero del Lavoro.

Al termine della manifestazione trenta donne sono state identificate e denunciate dalla polizia per interruzione di pubblico servizio e invasione di edificio. Per tre delle denunciate è scattato anche il reato di procurato allarme perché hanno minacciato di gettarsi nel vuoto rendendo necessario anche l'intervento dei vigili del fuoco e non solo della polizia che ha presidiato la zona per l'intera durata della protesta.

Secondo quanto fanno sapere i manifestanti, il Comune di Napoli si è impegnato a convocare un tavolo interistituzionale per affrontare la questione dell'impiego dei fondi, circa 7 milioni di euro, stanziati e finora non utilizzati per fronteggiare la vertenza.

 

Spagna‬: repressione di Stato contro femministe e lesbiche

riprendiamo da abbattoimuri e diffondiamo:


Mentre in Argentina seguono un itinerario diverso rispetto alla nostra legge sulla procreazione medicalmente assistita, per cui puoi fruire del trattamento non solo quando sei in coppia etero e il seme è del tuo compagno ma qualunque sia il tuo orientamento sessuale e il tuo stato civile, in Spagna vanno nella direzione decisamente opposta. La proposta del governo di centro destra è quella di vietare la pma a single e lesbiche, un po’ come per la nostra legge 40, dunque tante donne di collettivi femministi e lesbici e persone a supporto che rivendicano una decisione laica sono scese in Piazza.
Quanto vedete nel video è quello che è più o meno successo. Tutto ciò si inserisce in un più generale piano di de-laicizzazione delle leggi del governo spagnolo a partire dalle restrizioni al diritto assistito di interrompere una gravidanza e l’esclusione di alcuni contraccettivi d’emergenza tra quelli consentiti. La repressione contro la manifestazione si è conclusa con vari feriti e un arrestato.
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Non so quanto c’entri o meno ma l’immagine che vedete sotto riguarda l’accorglienza che alcune donne hanno riservato in Brasile al Papa. Quel che sarebbe utile capire, nel 2013, è perché mai una religione dovrebbe ancora dettare una morale che passa sempre e comunque dai corpi delle persone, donne in testa.
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E dopo aver visto quali sono i livelli di repressione anche in Italia forse val bene capire che il detto “Nè Stato, Nè Chiesa, Né Marito” non è poi così anacronistico…

25/07/13

L'aberrante motivazione con cui un ateneo americano ha evitato di perseguire l'autore di un'aggressione sessuale:«Non ha raggiunto l'orgasmo, non c'è reato»

La guerra contro le donne non ha confini, nè limiti: la lotta delle donne contro femminicidi, oppressione non deve avere limiti nè confini
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APERTA UN'INDAGINE DOPO 14 DENUNCE CONTRO L'UNIVERSITÀ
Violentata per dieci minuti, stupratore libero: «Non ha raggiunto l'orgasmo, non c'è reato»
 
L'aberrante motivazione con cui un ateneo americano ha evitato di perseguire l'autore di un'aggressione sessuale e autorità federali americane hanno aperto un'indagine su come la University of Southern California (Usc) gestisce i casi di aggressione sessuale, dopo che alcune studentesse hanno affermato che le loro denunce sono state di fatto respinte con vari pretesti, e in un caso addirittura con l'affermazione che, siccome il presunto stupratore non ha avuto un orgasmo durante la penetrazione, non si può parlare di reato.
I 14 CASI - Secondo quanto riferisce il popolare sito web BuzzFeed, il ministero dell'istruzione ha aperto un procedimento dopo che 14 studentesse hanno presentato denuncia contro la Usc; e in particolare una di esse ha raccontato di aver riferito al Dipartimento di sicurezza pubblica della Usc di essere stata violentata da un suo compagno, e dopo diversi mesi si è infine sentita rispondere che nè l'università, nè la polizia avrebbero perseguito il presunto stupratore, perchè questi «non ha avuto un orgasmo».
«FERITA E OLTRAGGIATA» - «Sono stata ferita. Sono stata oltraggiata. Sono stata violentata», ha affermato Mostov, aggiungendo che le autorità di sicurezza dell'ateneo erano «totalmente in errore quando hanno deciso che da cinque a dieci minuti di penetrazione forzata non rappresentano uno stupro perchè il mio stupratore era troppo ubriaco» per raggiungere l'orgasmo. Il codice penale della California, sottolinea BuzzFeed, stabilisce peraltro che qualsiasi penetrazione, anche minima, è sufficiente per parlare di stupro.
DENUNCE INASCOLTATE - Un'altra studentessa ha raccontato di avere lo scorso autunno denunciato alle autorità dell'università di essere stata violentata e di aver presentato anche delle registrazioni audio in cui il suo rapitore ammetteva le sue responsabilità, ma dopo sei mesi l'ateneo ha deciso di chiudere il caso, affermando che non aveva fornito prove a sufficienza. E i casi del genere sarebbero apparentemente molti di più tanto da spingere alcune studentesse a farsi ora avanti con una denuncia pubblica. (Fonte: Ansa)
24 luglio 2013


Obbligatemi a sposarmi e mi uccido: annuncio choc di una bimba yemenita

contro stupri, pedofilia, violenze e uccisioni: la lotta delle donne, delle giovani non ha confini
Obbligatemi a sposarmi e mi uccido: annuncio choc di una bimba yemenita
Globalist   24 07 2013
A undici anni il futuro di Nada Al-Ahdal era già scritto da tempo, nonostante la giovane età. Destino a cui lei un giorno si è ribellata. La sua famiglia aveva organizzato il suo matrimonio contro la sua volontà. Lei è riuscita a scappare di casa, con l'aiuto di suo zio, e ha denunciato sua madre alla polizia.
Nascosta in un posto sicuro, Nada ha reso pubblica la sua storia attraverso un video che l'Istituto di ricerca sui media Medio oriente (Memri) ha pubblicato su Youtube. La sua testimonianza, raccontata con sorprendente forza d'animo in una ragazza così giovane, ha scosso due milioni e mezzo di utenti. Nelle immagini, la ragazzina denuncia non solo la propria condizione di promessa sposa bambina in fuga, ma quella di molte sue coetanee la cui infanzia svanisce nel momento in cui la famiglia decide che devono sposarsi. "Che ne è dell'innocenza infantile? Cosa hanno fatto di male i figli e perché volete sposarli?" chiede Nada.
"Io - prosegue in un crescendo di drammaticità - sono riuscita a risolvere il mio problema, ma molte bambine come me hanno avuto una sorte diversa. C'è chi ha tentato il suicidio e chi ci è riuscita. Nessuna di noi ha avuto il tempo di studiare. Non ci hanno fatto fare niente. Tutto ciò è semplicemente criminale". La zia di Nada aveva solo 14 anni quando andò in sposa. "Dopo un anno si è cosparsa di benzina e si è data fuoco per sfuggire agli abusi, alle violenze del marito che si ubriacava e la picchiava anche con una catena".
Infine Nada, rivolgendosi idealmente ai suoi genitori e dichiarando di non voler mai più tornare a casa: "Avete distrutto i miei sogni. Provate a prendermi. Se mi obbligate a sposarmi mi uccido. È così semplice".
Secondo uno studio dell'Università di Sana'a, in Yemen ancora oggi oltre la metà delle donne si sposa prima di compiere 18 anni. Il più delle volte con uomini molto più anziani di loro e già sposati.
"I matrimoni precoci violano i diritti delle bambine nel modo più deplorevole, negando i diritti più elementari e privandole della possibilità di studiare" sottolinea il direttore generale dell'Unicef Ann M. Veneman. Senza contare che siamo in presenza di veri e propri stupri pedofili. Nel 2008 il parlamento yemenita ha tentato di approvare una legge che poneva i 17 anni come età minima per il matrimonio. Ma la proposta è stata bloccata perché molti parlamentari hanno sostenuto che viola la sharia.
 

24/07/13

Consulta: stupro branco, sì misure alternative carcere

Guerra senza fine contro le donne di e in questo paese: ribelliamoci a maschilismo, oppressione, sentenze, leggi e ordinanze che mettono in pericolo la nostra stessa vita, la dignità, il diritto di esistere, che moltiplicano oppressione, repressione, intimidazione delle donne

dopo la bella mobilitazione a Roma del 6 luglio, non fermiamoci, andiamo avanti determinate verso una forte mobilitazione in autunno, verso lo sciopero totale delle donne

"pensate una giornata senza il lavoro delle donne..."

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Consulta: stupro branco, sì misure alternative carcere
No alla custodia cautelare in carcere per il reato di violenza sessuale di gruppo qualora il caso concreto consenta di applicare misure alternative. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 275, comma 3, terzo periodo, del codice di procedura penale.

La norma 'bocciata' dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.232 depositata oggi, relatore il giudice Giorgio Lattanzi, prevede che quando sussistono gravi indizi di colpevolezza per il delitto di violenza sessuale di gruppo si applica unicamente la custodia cautelare in carcere. Ora la Consulta ha stabilito che, se in relazione al caso concreto, emerga che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure, il giudice può applicarle. Nella sentenza, peraltro, la Corte conferma la gravità del reato, da considerare tra quelli più "odiosi e riprovevoli". Ma la "più intensa lesione del bene della libertà sessuale", "non offre un fondamento giustificativo costituzionalmente valido al regime cautelare speciale previsto dalla norma censurata", scrive la Corte.

Alla base del pronunciamento una questione di legittimità sollevata dalla sezione riesame del Tribunale di Salerno. Richiamando anche precedenti decisioni la Consulta ricorda in sentenza come "la disciplina delle misure cautelari debba essere ispirata al criterio del 'minore sacrificio necessario ': la compressione della libertà personale deve essere, pertanto, contenuta entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto. Ciò impegna il legislatore, da una parte, a strutturare il sistema cautelare secondo il modello della 'pluralità graduata ', predisponendo una gamma di misure alternative, connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà personale, e, dall'altra, a prefigurare criteri per scelte 'individualizzanti ' del trattamento cautelare, parametrate sulle esigenze configurabili nelle singole fattispecie concrete".

Sul 6 luglio, il foglio del mfpr

E' on line il numero speciale (doppio) del mfpr, tutto sulla mobilitazione del 6 luglio a Roma.
E' un foglio importante che prepara la nuova mobilitazione in autunno.
Cliccate sulla foto e scaricatelo
Saluti rossi
mfpr 

22/07/13

NO TAV: porci con le armi!

No Tav, la denuncia dell'attivista pisana: "Manganellate, insulti e  palpeggiamenti da parte delle forze dell'ordine"  da
"Da quando mi hanno fermata a quando mi hanno portata all'interno del  cantiere sono stati dieci minuti di follia. Ho ricevuto una manganellata in  faccia, mi hanno toccata nelle parti intime e mi hanno insultata".A  parlare, durante la conferenza stampa organizzata dal movimento No Tav a  Susa (Torino), è Marta Camposana, attivista pisana di 33 anni che è stata  denunciata per resistenza.  "Le forze dell'ordine - ha raccontato - ci hanno chiusi con due cariche e  bersagliati con una pioggia di lacrimogeni. Poi sono stata colpita da una  manganellata alle spalle e trascinata a terra. Una volta nel cantiere ho  detto che avevo bisogno di un medico, ma mi hanno nuovamente insultata e  portata al pronto soccorso soltanto quattro ore dopo, alla fine delle  procedure in questura, dove mi hanno denunciata solo perché avevo del Maalox  e dei limoni per contrastare i lacrimogeni".  "Gli arrestati della scorsa notte sono degli eroi", ha sostenuto poi  Nicoletta Dosio, portavoce del movimento No Tav, durante la conferenza  stampa successiva agli scontri al cantiere di Chiomonte. "Ero presente anche  io - ha aggiunto - e le forze dell'ordine hanno sparato lacrimogeni ad  altezza d'uomo anche sulla gente che defluiva. E' stata usata violenza  inaudita. Oggi siamo qui per dire basta". Secondo Dosio, i pubblici  ministeri Andrea Padalino e Antonio Rinaudo erano presenti all'interno del  cantiere "soltanto per convalidare arresti già decisi"

19/07/13

Sex workers in piazza contro violenze, abusi e omicidi


In 28 città del mondo, tra cui anche Roma, prostitute e attiviste per i diritti civili manifestano per chiedere che il lavoro sessuale venga riconosciuto come mestiere vero e proprio con suoi specifici diritti e doveri. La protesta davanti alle ambasciate di Svezia e Turchia per chiedere di mettere fine a un "approccio paternalistico che ha portato a infantilizzare le donne e screditare le loro scelte ed esperienze"
di Stefania Prandi | 19 luglio 2013

Oggi in 28 città del mondo – tra cui Roma, Londra, Edimburgo, Glasgow, Brighton, Berlino, Vancouver, Helsinki, Canberra – sex workers e attiviste per i diritti civili manifestano davanti alle ambasciate e ai consolati di Svezia e Turchia. Protestano per chiedere giustizia per gli omicidi di Jasmine e Dora, avvenuti nei giorni scorsi. Jasmine, prostituta e attivista svedese, madre di due figli, di cui aveva perso la custodia perché considerata inadatta essendo una sex worker, è stata accoltellata dall’ex-marito. Dora, turca, donna trans, è stata accoltellata da un cliente. Il Comitato internazionale sui diritti delle sex workers (Icrse), che ha organizzato la mobilitazione, imputa alle politiche di Svezia e Turchia, pur diverse tra loro, l’odio, la violenza e l’assenza di giustizia nei confronti delle lavoratrici sessuali.
In una nota l’Icrse spiega che “la Svezia considera le sex workers come vittime e i clienti come abusanti, negando il ruolo attivo delle donne che vendono servizi sessuali. Questo approccio paternalistico ha portato ad un atteggiamento che infantilizza le donne e discredita le loro scelte ed esperienze, con conseguente violazione dei diritti umani. In Turchia, invece, pur essendo la prostituzione legale, lo stigma che affrontano le donne trans è così alto che pochissime trovano il modo di guadagnarsi da vivere se non attraverso il lavoro sessuale. La Turchia ha scarso rispetto dei diritti umani, della parità di genere e delle minoranze: Dora è la 32esima donna trans uccisa dal 2008.”
Pia Covre, tra le fondatrici del Comitato per i diritti civili delle prostitute (Cdcp), che il 19 luglio sarà in piazza a Roma, dice che “la criminilizzazione porta sempre a conseguenze terribili. Noi vogliamo che il lavoro sessuale venga riconosciuto, che preveda diritti e doveri. La nostra dignità non deve essere calpestata da nessuno. La prostituta non è una persona che può essere presa, comprata e buttata via. Noi non siamo vittime e diciamo basta alla violenza“. Covre ricorda poi che anche in Italia – dove non si penalizzano la prostituzione e l’acquisto di prestazioni sessuali, ma al tempo stesso non li si regolamenta (punendo invece tutta una serie di condotte come favoreggiamento, induzione, reclutamento, sfruttamento) – le prostitute uccise dal 2009 sono state 35.
Non tutti, però, sono concordi nel considerare la regolamentazione e la legalizzazione come soluzione alla violenza. Secondo Pierrette Pape, della European women lobby, ente con base a Bruxelles che riunisce oltre 2.500 associazioni europee e promotore della campagna per “liberare l’Europa dalla prostituzione”, serve altro. “Dai rapporti e dalle ricerche che abbiamo consultato risulta evidente che la regolamentazione e la liberalizzazione non riducono lo sfruttamento. Ad Amsterdam, ad esempio, metà delle 8mila donne in vetrina sono vittime di abusi. Soltanto politiche come quelle svedesi sono efficaci nel diminuire drasticamente la domanda e quindi l’esercizio. Inoltre noi non riusciamo a capire come si possa tollerare un’evidente violazione della dignità della donna che deve vendersi perché è subordinata all’uomo. Se non fosse in una situazione di subalternità non passerebbe per un’esperienza così devastante, in termini di disagi e traumi”.
L’iniziativa della European women lobby è considerata con sospetto dalle attiviste pro-sex worker che vedono in questo tipo di campagne il riflesso di una “paura” istituzionale e sociale delle prostitute emancipate, con una coscienza politica e professionale. Un pensiero questo che era già stato elaborato 30 anni fa nel manifesto del Comitato per i diritti civili delle prostitute: “Fino a quando siamo ricattate, vittime di un protettore che ci controlla e sfrutta veniamo tollerate, quando invece pretendiamo di usufruire degli stessi diritti riconosciuti a tutti i cittadini, quando vogliamo il diritto alla nostra integrità fisica, all’assistenza sulle malattie o a pagare le tasse, veniamo perseguitate e ricattate.”