19/03/12

Stupro dell'Aquila violenza inaudita ... il ginecologo "Mai visto nulla del genere"

"quelli mi volevano uccidere": le poche parole che la ragazza è riuscita a dire dopo l' agghicciante violenza di cui è stata vittima, fuori da una discoteca nei dintorni dell' Aquila, fino a rischiare di morire. Nonostante l'evidenza dei fatti l'avvocato difensore del militare prova ad usare gli
argomenti misogini che spesso vengono usati in tribunale, nei mass media- in fondo se succede le donne se la sono cercata- fino a parlare di "rapporto amoroso" e che, in fondo, la "ragazza dovrebbe spiegare..." Schifosi!

Rigiriamo volentieri questo articolo da il manifesto per sostenere la ragazza devastata fisicamente, moralmente e perchè non possano permettersi di dire:" se l'è cercata, l'ha voluto pure lei", continuando la violenza in altro modo



Al fianco di tutte le donne che denunciano!


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Stupro di Pizzoli, il ginecologo: “mai visto nulla del genere”

In Italia i media e l’informazione non sono sempre corretti quando trattano di violenza di genere e di solito tendono a urlare la notizia, a cercare lo scoop, e a ricalcare modelli culturali sulla donna molto pericolosi e dannosi per le stesse vittime e per le donne in generale perché svilenti per chi subisce violenza (come l’insistere su particolari morbosi) e accomodanti per chi la pratica (era un bravo ragazzo, di brava famiglia, è stato un raptus, era troppo innamorato quindi l’ha
uccisa). Un linguaggio e un background culturale che nei tribunali viene usato per sostenere ipotesi in difesa di stupratori e autori di violenza che sottintendono stereotipi pesantemente
maschilisti e misogini (se l’è cercata, è lei che lo ha provocato, l’uomo è cacciatore, all’istinto non si comanda, era consenziente), per cui le vittime di violenza diventano spesso offender e sono costrette a dimostrare “la violenza” subita, sopportando pressioni psicologiche che si aggiungono a quello che già hanno vissuto.
Troppo spesso inoltre, lo stupro viene considerato un reato di serie B e le donne si sentono talmente poco tutelate da preferire il silenzio alla denuncia, perché sanno che durante il processo potrebbero non sopportare il peso di un’altra violenza, quella psicologica e verbale.
Su quello che è successo tra l’11 e il 12 febbraio nello stupro alla discoteca di Pizzoli, vicino L’Aquila, dove una ragazza di vent’anni è stata trovata sulla neve, seminuda, coperta di sangue per l’emorragia che le lesioni della violenza subita le avevano provocato, è stato scritto e detto molto. Anche troppo. Di questo reato è stato accusato un militare, F.T. di 21 anni, e per lui il giudice, a differenza di altri procedimenti in corso in questo periodo su reati di stupro, ha disposto la custodia in carcere. La famiglia del ragazzo ha chiesto scusa alla famiglia
della giovane stuprata, ma l’avvocato difensore, Alberico Villano, ha tranquillamente pronunciato il nome e il cognome della ragazza durante uno show televisivo con grave violazione della privacy ma soprattutto violando la riservatezza sulle norme di sicurezza cui la ragazza è sottoposta. Oltre al reato di stupro, a carico del militare c’è l’ipotesi di tentato omicidio, in quanto l’uomo è stato fermato mentre si stava allontanando dalla discoteca, sporco di sangue, lasciando la ragazza in fin di vita sulla neve: un mancato soccorso che sarebbe costata la vita della studentessa se non fosse interventuto il personale della discoteca che l’ha soccorsa. La ragazza, uscita dal’ospedale
ma ancora in convalescenza in un luogo segreto, non ricorda esattamente i fatti avvenuti perché lo shock è stato troppo forte, ma in una fase della sua ripresa in ospedale avrebbe detto: “Quelli mi volevano uccidere”, perché in realtà fuori dalla discoteca, oltre al militare inquisito, erano stati fermati anche altri due commilitoni del 33esimo Reggimento Artiglieria Acqui, insieme alla fidanzata di uno dei due. L’avvocato del militare ha sostenuto in maniera convinta che il
rapporto sessuale che ha subito la studentessa era un “rapporto amoroso consensuale”, sostenendo che l’uomo avrebbe provocato le ferite con “la mano”, malgrado i 48 punti di sutura che la ragazza ha dovuto subire per ricostruire le parti interne lese.
Alla domanda sulla gravità delle ferite della giovane, che fanno pensare senza dubbio alcuno (e senza possibilità di dimostrare il contrario) a una violenza inaudita, il legale ha risposto che “non sono state provocate da un atto sessuale non voluto”, e che “la ragazza non è stata costretta”. Secondo il legale: non ci sarebbe stato nessun corpo estraneo nell’atto sessuale; i due giovani commilitoni e la giovane non sono intervenuti in nessuna fase del fatto; e il giovane militare, “molto impaurito”, quando ha visto il sangue, è rientrato nella discoteca per chiedere aiuto. Non solo, perché la ragazza, secondo l’avvocato, “Dovrà spiegare il perché e il motivo per il quale è uscita fuori dal locale con il freddo e la neve insieme al suo giovane coetaneo”. In poche parole la ragazza dovrebbe rispondere al fatto che non solo era consenziente a farsi provocare quelle ferite ma anche che lei la violenza se l’è cercata.
Su questo caso si è parlato di “pratica estrema”, del diametro di una mano chiusa a pugno considerando possibile che quelle ferite potessero essere state prodotte da un rapporto, “consensuale”, con l’uso di una pratica sessuale che si chiama fisting e che viene esercitata con il pugno. Un quadro davvero deprimente, vergognoso, schifoso, che su una vittima di stupro
approfondisce quelle ferite che non guariranno mai. Ma la vita è generosa anche nella tragedia, perché dalle dichiarazioni fatte in una trasmissione su Canale 5 ieri dal dottor Gabriele Iagnemma, il ginecologo dell’ospedale che ha “ricucito” la ragazza stuprata, si capisce che non può essere stata né una mano né un rapporto consenziente. Dichiarazioni che dovrebbero spazzare via tutte le elucubrazioni di dubbio gusto rimettendo al centro la vittima che ha subito una violenza terribile e il suo diritto ad avere giustizia, e quindi il riconoscimento assoluto di quello che ha subito, e anche a individuare l’autore di una violenza efferata che forse è pericoloso anche per la società: “In trent’anni di attività non avevo mai visto nulla del genere – ha detto il dottor Iagnemma – quando è stata portata all’ospedale dal 118 e scortata dai carabinieri, è arrivata ricoperta di sangue in condizioni di incoscienza e in un grave stato di shock emorragico dovuto alle gravi lacerazioni che aveva.
Lacerazioni che interessavano oltre che l’apparato genitale anche altri organi. E’ stata portata immediatamente in sala operatoria, dove ho chiamato subito il collega chirurgo e insieme, l’abbiamo operata. Un intervento di oltre un’ora nel quale sono stati ricostruiti l’apparato digerente e l’apparato genitale”. La ragazza sarà sottoposta a ulteriori controlli ed esami “soprattutto per verificare la funzionalità di alcuni organi, perché dal punto di vista anatomico
è guarita, ma non sappiamo se lo sia dal punto di vista dell’apparato digerente
che è la parte più colpita”. Secondo gli inquirenti nello stupro è stato utilizzato uno strumento metallico e anche per i medici le ferite riportate non sono affatto compatibili con un rapporto senza violenza. L’amore, il sesso estremo, l’avventura di una notte, qui non c’entra: è solo
violenza.

di Luisa Betti pubblicato il 16 marzo 2012

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