04/10/10

Lapidazione in Italia

da Repubblica, 04 ottobre 2010

MODENA - Uccide la moglie e riduce in fin di vita Nosheen, la figlia di vent'anni, che non ne voleva sapere di frequentare un ragazzo della sua nazionalità e magari di sposarlo, con un classico matrimonio combinato. Una violenta lite in una famiglia pakistana a Novi di Modena, uno scontro tra il desiderio di libertà di una ragazza, studentessa in un istituto tecnico, e la tradizione chiusa e intollerante verso ogni atteggiamento di "modernità". Quasi la fotocopia del caso di Hina, la ragazza del Pakistan che viveva a Sarezzo di Brescia, uccisa dal padre nell'agosto di quattro anni fa con l'appoggio di tutta la famiglia, compresa la madre, perché aveva un fidanzato italiano. Questa volta a morire non è stata la figlia, anche lei, come Hina Saleem, colpevole di voler scegliere il proprio destino e vivere all'occidentale, ma la madre, Begm Shnez, di 46 anni, che aveva osato prendere le sue difese, vista quindi come una traditrice da Ahmad Khan Butt, operaio di 53 anni, fermato dai carabinieri della compagnia di Carpi insieme al figlio maggiore, Humair, 19 anni. Il ragazzo ha partecipato all'eccidio familiare.

Per una parte dei pakistani è una questione di onore ("izzat") il modo di vestire e il comportamento della figlia in vista del matrimonio combinato. Ma Nosheen, ormai ventenne, si era ribellata a questa imposizione, a differenza di tante altre ragazze immigrate. Il litigio mortale è scoppiato nell'orto dell'edificio dove vive la famiglia, nel centro di Novi, al confine con il Mantovano, in una via tutta di palazzine ottocentesche ben tenute, abitate da pakistani e cinesi. Urla furibonde sono state sentite da parecchi vicini di casa, da un bar vicino si sono anche avvicinati, ma i pakistani hanno spiegato che era un fatto privato.

Nosheen, che abita con alcune amiche a Carpi dove studia, sembra sia stata chiamata dal padre nella casa, dove c'erano altri due figli minorenni. Lei di nuovo si è opposta alle richieste del genitore. Tempo fa la madre aveva già avvisato i carabinieri dei contrasti in casa e delle violenze del marito, ma non aveva presentato denuncia. Quella di ieri è sembrata una resa dei conti: il fratello ha ferito con una spranga la sorella, e la madre che ha cercato di difenderla è stata colpita a colpi di mattone. Portati in caserma, padre e figlio hanno fatto scena muta. "Conflitti che possono sfociare in aperta violenza sono destinati ad aumentare con l'aumento della scolarizzazione dei giovani pakistani che vivono in Italia e acquisiscono nuove abitudini - dice amaramente Ahmad Ejaz, direttore a Roma della rivista in lingua urdu "Azad" (Libertà) -. Non c'entra l'Islam, questi comportamenti dei capifamiglia affondano le radici nel sistema delle caste chiuse indiane, in un mondo rurale in cui far sposare la figlia al primo cugino significa preservare la proprietà delle terre".

La tragedia che ha coinvolto una famiglia pakistana, nella quale ha perso la vita la madre di una giovane donna - presa a sua volta sprangate dal fratello - che si opponeva a un matrimonio combinato è, purtroppo, un classico delitto "culturale". Un delitto che farà dire a molti che vi è una totale incompatibilità tra cultura occidentale e quella di alcuni gruppi etnici e religiosi. In realtà il tragico episodio di Novi di Modena rivela, come già in altri drammatici casi, le trasformazioni in corso nelle enclave etniche in Europa, Italia compresa, alle prese con una forte soggettività femminile. Il rifiuto della giovane, ennesimo episodio di rivolta delle figlie pagato con il sangue, mette in crisi l'usanza pakistana di allargare, attraverso il matrimonio combinato, il sistema di relazioni comunitarie ed economiche che la diaspora del "Paese dei Puri" mette in pratica anche nel Vecchio Continente. Un sistema che le giovani donne, a contatto con la cultura europea, con i gruppi dei pari, con le agenzie di socializzazione come scuola e mezzi di comunicazione di massa, oltre che con la secolarizzazione, tendono a rifiutare. Mettendo a dura prova l'esercizio di un'autorità maschile che, fuori da un contesto in cui non vi è evidenza sociale, riesce difficilmente a mantenere legittimità. É dunque dal comportamento quotidiano di queste donne, quelle che perdono la vita e quelle che faticosamente riescono nel loro intento liberatorio, che viene il mutamento e la salvezza. Spezzare i particolarismi etnoreligiosi quando tendono a limitare la libertà dei singoli nel gruppo, anche quella di fuoriuscire dalla religione o dalla consuetudine, è un compito essenziale di una società democratica. Ma l'antidoto non è la separazione obbligata teorizzata dagli xenofobi locali, che rafforza quella separatezza che, a parole, si vorrebbe veder scomparire, bensì l'interazione tra culture, l'unica capace, al di là della via normativa, di produrre mutamento culturale. Delitti di questo tipo saranno tanto meno frequenti quanto più la società italiana riuscirà a definire una convivenza in cui i diversi gruppi etnici e religiosi presenti nel territorio entreranno in contatto tra di loro. L'alternativa è la chiusura etnica, il riprodursi di culture ostili l'una all'altra. Insomma il peggio, del quale le prime vittime saranno sempre le donne.

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